Scommesse, per Corte Costituzionale “legittima” tassazione Ctd ma “solo” dal 2011 in poi

Per la Corte Costituzionale è legittima la tassazione dei Ctd dal 2011 in poi. La Corte ha infatti dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504 (Riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse) e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)», nella parte in cui prevedono che – nelle annualità d’imposta precedenti al 2011 – siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione”. La Corte Costituzionale, in sostanza, accoglie in parte le tesi di Stanley, ma pone un netto distinguo: il pagamento del prelievo sulla raccolta non può essere chiesto ai CTD -in via retroattiva- per gli anni antecedenti il 2011, ovvero prima che la norma della Stabilità entrasse in vigore. E’ invece legittimo richiederne il pagamento per la raccolta effettuata negli anni successivi. E difatti la Consulta ha dichiarato “non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, nella parte in cui prevedono che – nelle annualità d’imposta successive al 2011 – siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Rieti”.

A disporre il rinvio, nel dicembre 2015, era stata la Commissione tributaria provinciale di Rieti impegnata a decidere su quattro ricorsi intentati proprio da StanleyBet e da alcuni Ctd collegati. La controversia nasce da una norma della Stabilità 2011 che equipara dal punto di vista fiscale i Ctd alle normali agenzie di scommesse, e li assoggetta quindi al pagamento dell’imposta unica sulle scommesse.

Nelle motivazioni della sentenza si legge che “il presupposto oggettivo per l’applicazione dell’imposta unica sulle scommesse è definito dall’art. 1 del d.lgs. n. 504 del 1998, secondo il quale essa «è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero». Il tenore letterale di tale disposizione, ed in particolare l’inclusione dei soggetti che esercitino tale attività «anche in concessione», autorizzava a ritenere che, già nella sua originaria versione, precedente alla disposizione interpretativa del 2010, l’art. 3 in esame rivolgesse la pretesa impositiva statale anche nei confronti degli stessi soggetti operanti al di fuori del sistema concessorio”. La Corte Costituzionale ha evidenziato come “con la disposizione interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, il legislatore ha dunque esplicitato una possibile variante di senso della disposizione interpretata, ribadendo, da un lato, che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e stabilendo, altresì, che il generale concetto di “gestione” include anche l’attività svolta “per conto di terzi”, compresi i bookmaker con sede all’estero e privi di concessione. L’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (il titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (il bookmaker) non risulta irragionevole. Infatti, le differenze tra il contributo rispettivamente prestato dalla ricevitoria e dal bookmaker alla complessiva attività di raccolta delle scommesse non escludono affatto – ed anzi presuppongono – che entrambi i soggetti partecipino, sia pure su piani diversi e secondo differenti modalità operative, allo svolgimento di quell’attività di «organizzazione ed esercizio» delle scommesse sottoposta ad imposizione”.
In riferimento al denunciato difetto di congruità e proporzione dell’intervento legislativo rispetto alle finalità perseguite, per la Corte “non è ravvisabile alcuna irragionevolezza nell’assoggettamento ad imposta del ricevitore operante per bookmaker sfornito di concessione, con conseguente parificazione dello stesso ricevitore al bookmaker concessionario. Come è già stato rilevato dalla giurisprudenza tributaria consolidatasi sul punto, tale scelta legislativa risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non avere ottenuto la necessaria concessione, ovvero di operare per conto di chi ne sia privo”.
Quanto alla denunciata violazione del principio della capacità contributiva, “la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione tiene conto della circostanza che il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi ed il bookmaker è disciplinato da un contratto dal quale sono regolate le stesse commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera. D’altra parte, le commissioni a lui dovute rappresentano un elemento di costo che necessariamente entra far parte delle valutazioni economiche dello stesso bookmaker, il quale ne terrà conto nella determinazione delle quote e, quindi, dell’importo che lo scommettitore deve corrispondere per la scommessa. Con riferimento ai rapporti successivi al 2011, ossia alla data di entrata in vigore della disposizione interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), non sussiste, pertanto, la denunciata impossibilità di traslazione dell’imposta da parte del titolare della ricevitoria. Ne consegue la non fondatezza della questione relativa alla denunciata violazione dell’art. 53 Cost. In mancanza di una regolazione degli effetti transitori ed in considerazione della portata interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, tale disposizione è destinata ad applicarsi anche ai rapporti negoziali perfezionati prima della sua entrata in vigore. Tuttavia, rispetto a questa categoria di rapporti non può aver luogo la traslazione dell’imposta, giacché l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla legge n. 220 del 2010”. lp/AGIMEG