Newslot, caso BPlus: Tar Lazio annulla interdittiva antimafia. “Nessun collegamento di Corallo con la mafia”. Ecco la sentenza completa

La Prima Sezione Ter del Tar Lazio ha annullato l’interdittiva antimafia che la Prefettura di Roma ha emesso nei confronti di Bplus nel 2014, ma ha confermato il commissariamento della compagnia, perché basato su presupposti diversi. Il Prefetto infatti aveva disposto l’amministrazione straordinaria ritenendo che il trust – creato dalla stessa società per garantire la separazione tra la proprietà e la gestione – non fosse più operativo.

Nella sentenza pubblicata sabato, il Collegio sottolinea che “gli elementi evidenziati nel provvedimento impugnato e le circostanze dedotte in giudizio dalla difesa erariale non siano sufficienti a supportare l’informativa interdittiva contestata”. E ricorda che “Nell’agosto 2014 la Prefettura di Roma ha chiesto alle Forze dell’ordine di fornire elementi per dimostrare la persistenza di rapporti tra il figlio ed il padre- Francesco e Gaetano Corallo, NdR – ma tale approfondimento non risulta aver avuto esito, posto che nessuna circostanza specifica è stata rappresentata al riguardo nel provvedimento impugnato, così come non sono stati indicati particolari elementi utili per affermare l’esistenza di rapporti” del proprietario di Bplus con “la criminalità di stampo mafioso”. E simili collegamenti non emergono nemmeno dal procedimento penale avviato sulla vicenda dei finanziamenti ottenuti dalla Banca Popolare di Milano tra il 2010 e il 2011: “il capo di accusa” contestato ai vertici della compagnia “non attiene al reato di riciclaggio (…) ma a quello di associazione a delinquere semplice”. Di conseguenza “dal procedimento penale inerente alla concessione di finanziamenti cd “facili” non avrebbero potuto trarsi elementi idonei a supportare l’informativa antimafia impugnata”. Per il Tar Lazio, l’interdittiva non è giustificata nemmeno dalla “asserita commistione tra la Società ed alcuni soggetti con essa contrattualizzati (in particolare, tredici imprese indicate nel provvedimento contestato, a fronte dei circa trentaduemila esercenti e gestori contrattualizzati)”. Questi soggetti infatti “sono titolari di certificazioni antimafia e di autorizzazioni di pubblica sicurezza, ex artt. 86 o 88 del TULPS e, quindi, devono ritenersi idonei (sotto questo profilo) ad operare con la pubblica amministrazione”, e risultano iscritti “nell’albo dei terzi raccoglitori, istituito e gestito da ADM”. Per il Collegio, in sostanza, “Non appare reprensibile, quindi, che il concessionario abbia fatto affidamento sulle risultanze del citato elenco al fine di mantenere in essere i contratti con i soggetti indicati”. Ininfluente ai fini dell’interdittiva anche il forte “indebitamento fiscale ed il mancato pagamento del canone di concessione”, dal momento che “la Società ha stipulato polizze fideiussorie bancarie per 80 milioni di euro circa, a garanzia del versamento del PREU e del Canone di concessione”.

La Prima Sezione Ter tuttavia conferma il provvedimento dell’agosto 2014 con cui la Prefettura ha disposto il commissariamento di Bplus. “Il Collegio non ha motivo di discostarsi” da quanto aveva già affermato la Seconda Sezione dello stesso Tar Lazio con una sentenza pubblicata lo scorso dicembre. In quel provvedimento si affermava che “l’adozione della misura della gestione straordinaria e temporanea della società risulta giustificata dalla presenza di una grave situazione anomala costituita dal fatto che la società dal 29 maggio 2014 ha uniteralmente interrotto le operazioni concordate con l’Amministrazione dell’Interno, non permettendo l’esercizio delle funzioni di controllo previste dal protocollo di legalità”. Nel 2012 Bplus – in seguito alla prima interdittiva antimafia – aveva dato vita un Trust “con il quale i costituenti hanno trasferito e consegnato le azioni rappresentative dell’intero capitale sociale della Società all’amministratore fiduciario, ponendole sotto il suo controllo, al fine di determinare la totale separazione tra i soggetti proprietari delle azioni e la gestione dell’attività della Società per la prosecuzione dell’attività in Italia”. La società aveva acconsentito che venisse nominato un Controllore – la scelta cadde sull’ex giudice della Corte dei Conti Alfonso Rossi Brigante – “per la supervisione dell’attività e della gestione societaria e amministrativa”. Tuttavia nel maggio 2014 il Controllore aveva comunicato che la società “aveva interrotto le operazioni da effettuarsi sulla base della prassi operativa, così violando l’atto di impegno e vanificando lo scopo per il quale era stato creato”. Di conseguenza, nel disporre il commissariamento, il Prefetto aveva stigmatizzato il “comportamento fraudolento ed elusivo tenuto dai gestori della società che, dopo aver accettato una separazione del potere gestorio attraverso la creazione di un trust, hanno poi di fatto impedito l’esercizio effettivo dei poteri di controllo da parte del controllore nominato”. lp/AGIMEG

Ecco la sentenza integrale emanata dal Tribunale Amministrativo del Lazio:  SentenzaBplus