Dl Giustizia, con il parental control nuovo regalo al gioco illegale

Per il settore del gioco online l’emendamento Pillon rischia di tradursi nell’ennesimo favore al mercato illegale. La norma – che nasce per impedire ai minori di accedere a contenuti di carattere pornografico, ma che poi va a coprire qualunque “contenuto inappropriato” – è da settimane al centro di aspre polemiche, a tal punto che alcuni esponenti della Maggioranza non trattengono le critiche ai colleghi di partito che l’hanno votata.

Il primo problema è proprio l’utilizzo delle parole “contenuto inappropriato”, perché non c’è alcuna definizione legale di cosa si debba intendere per “contenuto inappropriato”. E se ci basiamo sul senso comune, allora sarebbe opportuno bloccare anche un’immagine cruenta riportata in un articolo di cronaca. Senza però oscurare l’articolo. E qui arrivano i problemi tecnici, perché degli strumenti simili già esistono sul mercato, ma nella maggior parte dei casi vengono impostati dall’utente – che decide cosa bloccare e cosa no – e consentono di aprire account differenti, quelli limitati per i figli, e quelli aperti per i genitori. I filtri dell’emendamento Pillon invece lavorerebbero “alla fonte”, e di conseguenza bloccherebbero tutto per tutti. Non è affatto semplice filtrare i contenuti della rete in questo modo, e detto così non è nemmeno lecito, da settimane lo sostengono una serie di organismi sia nazionali che comunitari. La stessa Agcom – su cui forse potrebbe ricadere l’onere di dare attuazione alla norma – si è messa subito al lavoro per comprendere tutti i problemi che tutto questo comporta. Anche perché l’emendamento è stato incluso nel Dl Giustizia che a fine giugno è stato approvato in via definitiva dalla Camera e pubblicato in Gazzetta Ufficiale. E quindi è divenuto legge a tutti gli effetti.

L’emendamento è stato inserito nel testo del decreto dalla Commissione Giustizia del Senato, Palazzo Madama ha esaminato il disegno di legge di conversione in prima lettura. In sostanza, la norma prende spunto dal fatto che delle app filtro esistano già sul mercato. In teoria, quindi, si tratterebbe di rendere obbligatorio uno strumento che c’è già. La norma però non prevede che ogni smartphone o pc in commercio disponga automaticamente di queste app. Il peso ricade su un soggetto differente: le compagnie che forniscono la connessione internet. Devono inserire di default – e in maniera del tutto gratuita – “tra i servizi preattivati sistemi di controllo parentale ovvero di filtro di contenuti inappropriati per i minori e di blocco di contenuti riservati ad un pubblico di età superiore agli anni diciotto”. La norma poi prevede che i filtri possano essere disattivati, a richiesta del genitore.

La norma non prevede sanzioni vere e proprie, ma stabilisce che l’Agcom possa condannare l’internet provider alla “restituzione delle eventuali somme ingiustificatamente addebitate agli utenti”. Ora, il filtro in base alla norma deve essere gratuito, di conseguenza – brutalmente – le somme addebitate in maniera ingiustificata non possono essere altro che la bolletta del telefono. Questo vuol dire che “Gli utenti potrebbero usare per anni il servizio di connessione, perché ne hanno bisogno, e poi chiedere il rimborso di tutti i canoni, sostenendo che i filtri non funzionavano” commenta a Agimeg Dino Bortolotto, presidente di Assoprovider, l’associazione che riunisce i provider di internet indipendenti. “Il livello di contenzioso che ne potrebbe nascere, appesantirebbe a dismisura i lavori dell’Agcom”.

A presentare l’emendamento è stato il senatore Simone Pillon della Lega, quindi dell’opposizione, ma poi la proposta di modifica ha ricevuto il parere positivo sia del relatore del decreto, il senatore Franco Mirabelli del PD, sia del Governo, con il via libera della sottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento Simona Malpezzi. L’emendamento è poi confluito nel maxi-emendamento su cui il Governo ha posto la fiducia in Aula.

Secondo Mirabelli, “La norma non è immediatamente esecutiva, sarà necessario implementarla – probabilmente sarà l’Agcom a farlo – per definire gli aspetti tecnici, e per stabilire cosa si intende per contenuto inappropriato e cosa no” spiega a Agimeg. Il senatore PD difende poi l’obiettivo della norma, “Si tratta di assicurare una maggiore tutela ai minori, e di estendere anche al web gli strumenti del parental control che vengono usati ad esempio dalle emittenti televisive. Inoltre, bisogna considerare che esistono già diverse APP che consentono di filtrare i contenuti inappropriati di internet”. E ancora, secondo Mirabelli il rischio che vengano bloccati contenuti non sensibili, o che venga addirittura minacciato il diritto all’informazione è minimo: “I filtri possono essere rimossi dagli utenti, quindi il controllo finale rimane in capo al genitore”.

In realtà non è proprio chiaro se la norma sia esecutiva di per sé, oppure necessiti di qualche provvedimento attuativo. E’ una delle cose su la Camera ha cercato di correre ai ripari. Non c’era il tempo per modificare il testo e rispedirlo in terza lettura al Senato, (per la cronaca, anche qui il Governo ha posto la fiducia). Montecitorio non ha potuto fare altro quindi che approvare un ordine del giorno presentato dall’onorevole Enza Bruno Bossio (anche lei del PD come Mirabelli) e poi sottoscritto da diversi altri deputati. Anche in questo caso c’è stato il parere favorevole del Governo – lo ha dato Vittorio Ferraresi, Sottosegretario di Stato per la Giustizia – e questo lascia pensare quindi che lo stesso Esecutivo si sia reco conto che fosse necessario correggere la norma. Nell’odg si sottolinea che “La disposizione non contiene alcun riferimento a una fase implementativa che consenta la definizione dei dettagli tecnici per la realizzazione dei sistemi e non identifica un termine congruo entro cui gli operatori devono adeguarsi”. E si chiede quindi al Governo di intervenire per prevedere che questi filtri “non siano servizi preattivati ma servizi attivabili su richiesta del consumatore, titolare del contratto“; e di affidare all’Agcom il compito di stabilire “le procedure e specifiche tecniche che gli operatori dei servizi di comunicazione elettronica dovranno rispettare per l’implementazione delle misure” previste dall’emendamento Pillon.

“La norma ha una formulazione ampissima, visto che non fa riferimento alla sola pornografia, ma a dei contenuti riservati ai maggiorenni” spiega a Agimeg l’on. Bossio. “Di fatto i provider di internet dovrebbero decidere per conto dei genitori quali siano i contenuti inappropriati ai maggiorenni su cui applicare i filtri. Peraltro, una volta applicati i filtri, nessuno potrebbe accedere più ai contenuti inibiti, a prescindere dall’età“. Il rischio insomma “è di creare una confusione normativa che peggiori la situazione, invece di migliorarla. Per questo nell’ordine del giorno chiedo al Governo di intervenire, perché la norma non sia immediatamente esecutiva, e per evitare alla radice che un soggetto debba stabilire quali contenuti sono vietati e quali no. Purtroppo però abbiamo potuto approvare un semplice odg – appunto per sollecitare l’intervento del Governo – ma non abbiamo potuto modificare la norma in sé”. E poi c’è anche un altro problema: “al di là delle sue intenzioni migliori, questo articolo è completamente inapplicabile. A mio avviso, l’implementazione di questa norma deve essere stabilita tra l’Agcom e gli operatori, altrimenti si viola la normativa europea” afferma, riferendosi tra le altre norme, ail Regolamento 2120/2015 sulla libertà di accesso a Internet.

Secondo Dino Bortolotto, la norma potrebbe essere addirittura anticostituzionale visto che richiede di fatto “Un controllo minuzioso sull’attività di navigazione che effettuano i singoli utenti”. E in aggiunta cita una serie di conflitti con il diritto comunitario, tra cui anche la direttiva 98/34: l’emendamento Pillon sarebbe una norma tecnica e quindi l’Italia avrebbe dovuto trasmetterla alla Commissione Europea e aspettare 3 mesi prima di adottarla. Tutti aspetti che – se accolti da un giudice – farebbero cadere l’emendamento. Nel frattempo, però, quella norma è legge.

Ma poi c’è il problema di come funzionano questi filtri, di cosa oscurano e in che modo: “Ormai su internet si usa il protocollo https, i contenuti vengono crittografati end to end” spiega ancora Bortolotto. E questo vuol dire che solo la persona che trasmette un messaggio, e quella che lo riceve, sono in grado di leggerlo. L’internet provider che li mette in comunicazione invece non può farlo. “Per avere un filtro efficace si dovrebbe violare questa crittografia – cosa che non è affatto facile – e individuare i contenuti da interdire”. Le app, di conseguenza, lavorano sui DNS, i Domain Name System. Semplificando molto il discorso i domini dei siti internet vengono individuati con dei codici numerici, e il DNS permette di decifrare questi codici. L’app filtro poi “si limita a fare in modo che il sito individuato con quel codice non venga visualizzato”. Questo vuol dire che “si può bloccare solamente un intero sito, ma non la singola pagina o il singolo contenuto” continua Bortolotto che poi cita il caso – tutt’altro che infrequente – dei “video a carattere smaccatamente sessuale che spesso vengono pubblicati dagli utenti sui normali social network. L’unico modo per oscurare un contenuto del genere è oscurare l’intero social”.

Ma tornando al settore del gioco, questi filtri si vanno a inserire nell’annoso scontro tra operatori legali e illegali. Peraltro, ricordano in qualche modo la black list dei siti illegali che l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aggiornano ormai da una quindicina di anni. La lista comprende quasi 9mila domini, e si allunga di volta in volta. La differenza però è che le app dell’emendamento Pillon colpirebbero tutto il gioco, legale e illegale, visto che si tratta in ogni caso di un contenuto da vietare ai minorenni. I filtri, inoltre, verrebbero applicati automaticamente a qualunque utente – anche i maggiorenni – che poi dovrebbero chiedere eventualmente di disattivare il servizio. E a questo punto diventa determinante capire come reagiranno gli operatori. Perché i legali ovviamente rispetterebbero lo stop, è una norma dello Stato. Ma gli illegali? “Per aprire un sito web ci vogliono pochi minuti, e è facilissimo ottenere l’assegnazione di un url. Ad esempio chi vuole eludere lo streaming di contenuti non fa altro che cambiare in continuazione il nome a dominio” risponde Bortolotto. Che del resto è quello che fanno da anni gli operatori di gioco illegale quando finiscono nella black list: spostano il sito su un nuovo dominio, e proseguono indisturbati fino allo stop successivo. rg/AGIMEG