Se concessionario e gestore di apparecchi svolgono “pubblico servizio” per conto dello Stato, allora le concessioni devono essere prolungate “gratuitamente” a causa dello stop imposto dalla pandemia – di Roberto Fanelli

Con la sentenza delle Sezioni Unite penali della Cassazione n. 6087 del 16 febbraio 2021 (data ud. 24 settembre 2020) è stata messa la parola fine sulla configurabilità del reato di “peculato” nei confronti del “gestore” che si impossessa del PREU e del compenso spettante al concessionario.

Il “peculato”, previsto dall’art. 314 c.p., è un reato proprio del “pubblico ufficiale” o dell’ “incaricato di un pubblico servizio” che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro (o di altra cosa mobile) altrui, se ne appropria.

Secondo la Suprema Corte, sia il Concessionario della rete telematica sia il “Gestore” (in quanto “subconcessionario”) maneggiano denaro altrui (dello Stato) e sono incaricati di svolgere un “pubblico servizio”.

La Corte esclude la funzione pubblicistica del gioco ma configura il “compito” attribuito al concessionario della rete telematica, deputata al controllo del gioco, come un “servizio pubblico”, perché finalizzato alla tutela degli interessi pubblici protetti dalla normativa: la “pubblica fede, l’ordine pubblico e la sicurezza, la salute dei giocatori, la protezione dei minori e delle fasce di giocatori adulti più deboli, la protezione degli interessi erariali relativamente ai proventi pubblici derivanti dalla raccolta del gioco”.

In definitiva, afferma la Corte, “non può dubitarsi che il concessionario svolga in regime di concessione un pubblico servizio, riservato al monopolio statale, che consiste proprio nel controllo delle attività di gioco sia per il rispetto dei limiti entro quale può ritenersi lecito, svolgendo quella funzione pubblica, più volte dichiarata nella normativa, di contrasto alla diffusione della ludopatia e delle attività criminali nel dato settore, sia per la gestione degli incassi delle giocate, destinati all’Erario”.

La Corte aveva già affermato che “l’assunzione del modulo concessorio costituisce … lo strumento mediante il quale si attua l’esercizio di una funzione che, nei rigidi limiti della liceità, l’autorità statuale ha assunto sotto il suo diretto controllo mediante la rete telematica, senza la quale … l’attività non si può esercitare in quanto illecita”. “Le società concessionarie in qualità di titolari nei nulla osta all’esercizio degli apparecchi e congegni per il gioco lecito devono assicurare la contabilizzazione delle somme giocate, delle vincite e del prelievo unico erariale nonché la trasmissione periodica e senza soluzione di continuità delle informazioni al sistema centrale (S.U. 13330 del 2010). Questo sistema di collegamento diretto, rivolto in particolare al flusso di denaro, riscosso in conseguenza del gioco lecito, ed alle sue destinazioni (vincite, canone di concessione, deposito cauzionale, obbligazioni tributarie, compenso del concessionario) così come previste dalla legge, ne evidenzia la diretta appartenenza pubblica (Cass., SS.UU., 29 maggio 2019, n. 14697).

Peraltro, la natura tributaria attribuita al PREU e la qualificazione del concessionario come soggetto passivo d’imposta  operano limitatamente al rapporto di natura tributaria/senza incidere sulla funzione di agente della riscossione di denaro pubblico derivante dalla configurazione complessiva dell’attività di gioco lecito mediante apparecchi o congegni elettronici, caratterizzata dalla predeterminazione dettagliata delle modalità di svolgimento dell’attività e della funzione del concessionario rispetto agli esercenti, in particolare sotto il profilo del controllo periodico della destinazione delle somme riscosse.

In definitiva, quindi: 1) la concessione riguarda un’attività che è oggetto di un monopolio statale, perché attiene alla organizzazione e commercializzazione del gioco lecito; 2) gli incassi sono dell’erario sin dall’origine; 3) il soggetto concessionario, rispetto al maneggio di tali somme, ha il ruolo di agente contabile.

Da questa ricostruzione, che deve essere oramai considerata definitiva, scaturisce che il “ricavo” del concessionario (costituito da ciò che residua dopo aver pagato le vincite e assolto il PREU e il canone di concessione) sarebbe tecnicamente configurabile come “aggio”, cioè come il compenso (anche se non fissato in misura fissa sulla raccolta, come per esempio per i giochi numerici e per le lotterie) per lo svolgimento di un pubblico servizio, per effetto dell’attribuzione di una concessione a seguito di gara pubblica.

Ora, cosa accade se il soggetto a favore del quale l’attività viene svolta (lo Stato) e che riconosce un “aggio” per il servizio stesso al concessionario – il quale, con organizzazione di risorse e l’impiego di (in taluni casi rilevanti) mezzi finanziari, assumendo un rischio d’impresa, è tenuto contrattualmente a svolgere le funzioni tipiche di un “pubblico servizio”  – decide autonomamente di sospendere l’esercizio del gioco prima del termine della concessione?

Appare evidente che ove l’esercizio del gioco venisse definitivamente bloccato anteriormente alla scadenza prefissata dalla legge e dal Bando di gara, il concessionario (e la filiera) avrebbe diritto ad un risarcimento commisurato alla perdita di aggio (esattamente come quando si risolve anticipatamente e unilateralmente un contratto per motivi non legati ad inadempienza della parte).

Non v’è dubbio che analogo risarcimento spetterebbe se il contratto viene sospeso (seppure per motivi gravi come la pandemia) e poi riprenda a decorrere, trattandosi, come chiarito dalla citata giurisprudenza di legittimità, di un’attività che fa capo allo Stato ed è svolta nell’ambito di un “servizio pubblico”.

In alternativa a tali soluzioni monetarie, si ritiene che lo Stato possa (o debba) “risarcire” i concessionari (e la filiera) prevedendo un allungamento ex lege (e gratuito) della concessione almeno pari al periodo di sospensione deciso unilateralmente.

Dico “almeno” perché, se si analizzano gli aspetti tecnici della questione, sembrerebbe pacifico che l’allungamento del periodo concessorio, a ristoro del blocco obbligatorio, debba essere anche più lungo di quello di sospensione, per consentire una ripresa delle attività a pieno regime. rf/AGIMEG