Poker online, Cassazione: custodia cautelare di chi gestiva una room illegale si giustifica solo se c’è rischio attuale di reiterazione

Per disporre la custodia cautelare in carcere nei confronti di chi ha gestito una piattaforma illegale di poker, è necessario che “all’imputato si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti”, e non basta affermare “in modo del tutto generico, che quest’ultimo ha comunque la possibilità di esportare il suo knowhow e le sue capacità professionali”. E’ quanto scrive la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione decidendo sul ricorso intentato da uno dei componenti di un sodalizio che gestiva la piattaforma on-line DGBPOKER. L’uomo ha dimostrato in giudizio di aver troncato ogni rapporto con gli altri esponenti del sodalizio (tanto che questi avevano poi allestito una nuova piattaforma di gioco) e che la poker room incriminata era stata smantellata nel settembre 2014, ovvero quasi due anni prima dell’ordinanza con il Tribunale di Salerno aveva disposto la custodia cautelare in carcere. La Cassazione ha così precisato che “il pericolo di commissione di altri delitti deve essere non solo concreto, ma anche attuale; non è quindi più sufficiente ritenere – in termini di certezza o di alta probabilità – che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è altresì necessario, anzitutto, prevedere – negli stessi termini di certezza o di alta probabilità – che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti”. Una volta dimostrato che l’imputato non fa più parte del sodalizio, e che la piattaforma di poker non è più operativa, non sussistono più le ragioni per disporre la custodia cautelare in carcere. “Sostenere pertanto, in modo del tutto generico, che quest’ultimo ha comunque la possibilità di “esportare” il suo knowhow e le sue capacità professionali anche fuori della Regione Campania, non è sufficiente e non soddisfa l’esigenza di attualizzare la capacità del ricorrente di “ricollocarsi” sul mercato” conclude la Suprema Corte. rg/AGIMEG