Giochi, Giorgio Sandi: “La tassa di scopo unica ricetta valida per riequilibrare il rapporto tra Stato, giocatori ed opinione pubblica”

dai nostri inviati a Salerno – “La ricetta in grado di produrre grandi risultati se unita a una revisione dell’offerta di gioco pubblico complessiva, di cui si sta occupando con grande determinazione il Sottosegretario Baretta, anche nell’ambito dei lavori in corso nella Conferenza Unificata con gli Enti Locali, è una sola e si chiama ‘tassa di scopo’, vale a dire dare una destinazione precisa, individuabile, chiara e verificabile all’imposizione fiscale che viene raccolta dal gioco legale”. E’ quanto ha dichiarato Giorgio Sandi all’Università di Salerno, nel corso della due giorni dedicata al tema del gioco pubblico in Italia, organizzato dall’Osservatorio Internazionale sul Gioco. “Una tassa di scopo che legasse i giochi pubblici ed il sociale – ha proseguito Sandi – avrebbe una grande presa nell’opinione pubblica e potrebbe concretamente rendere positiva l’immagine dello stesso, oggi invece a rischio di ‘scomunica’ sociale e di ritorno al proibizionismo ed alla illegalità. Oggi in Italia vi sono molte esigenze, da quelle di carattere locale (la viabilità, l’illuminazione notturna, le periferie, l’inquinamento) a quelle di natura più ampia e strutturale (i fondi per la scuola e l’Università, per le opere antisismiche, per la ricerca, per la formazione dei nostri giovani e così via). E’ risaputo che, pur a fronte di una tassazione assai elevata, di un’area di evasione ancora troppo grande e soprattutto di un debito pubblico immenso, le risorse servono a poco più che pagare i costi correnti, gli stipendi ed i costi incomprimibili. La ricetta invece consiste proprio nell’indirizzare i proventi dei giochi, dei singoli giochi o di un gruppo di questi, in modo trasparente a una singola finalità, privilegiando il carattere locali di alcuni (in ipotesi slot machines e videolotterie) e nazionale di altri. Sarebbe solo l’Italia a percorrere questa strada? Certamente no: anche senza ritornare ai tempi del Totocalcio, basta guardare alle esperienze della Francia e del Regno Unito per non parlare poi degli Stati Uniti”.
“Nel maggio del ’46 – ricorda Sandi – prende vita la schedina Sisal, poco dopo ri-denominata Totocalcio, il primo gioco dell’era moderna del nostro Paese. Si tratta di un gioco universalmente considerato buono, legato alla rinascita dopo la seconda guerra mondiale, collegato alle partite di calcio, che viene giocato e seguito da milioni di persone C’era però un elemento che a mio avviso era davvero vincente e speciale nel Totocalcio, fin dalla sua nascita: che il ricavato era previsto andasse (tolte le spese) “alla ricostruzione degli stadi e degli impianti sportivi distrutti dalla guerra”.
Nella gestione del Totocalcio da parte del CONI (subentrato alla Sisal nel 1948) si applicò la formula cosiddetta del terzo (in cui un terzo del gioco ritornava ai vincitori, un terzo andava allo Stato sotto forma di imposte ed un terzo andava al CONI che – detratte le spese – provvedeva poi a finanziare le attività di tutto lo sport nazionale. Un grandissimo risultato che generava circa 1000 miliardi di lire all’anno (500 milioni di euro) per lo sport! Una splendida “tassa di scopo”! In quegli anni remoti l’idea di finanziare una causa nobile con il sostegno del gioco piacque e molto! Nacque così il concorso TOTIP (nel 1948) sulle corse dei cavalli i cui proventi finanziavano -insieme alle scommesse ippiche – l’attività dell’ippica nazionale, il concorso Enalotto (nel 1957) – applicando l’uno-ics-due alle estrazioni del lotto – per finanziare l’ormai disciolto Ente Nazionale Assistenza Lavoratori (ENAL, appunto) e poi la Tris agli inizi degli anni ’90. La successiva proliferazione di giochi hanno purtroppo cambiato completamente la percezione del settore, una distribuzione ampissima e capillare, spesso non adeguatamente controllata, con una presenza sempre più percepita come invasiva sono probabilmente gli elementi che hanno colpito l’opinione pubblica, già gravata da una recessione ed una fiducia nel futuro certamente più ridotta. Tutte queste nuove proposte hanno generato volumi di gioco sempre più importanti (si passa dai circa 5 miliardi di euro del 1990 agli oltre 88 miliardi del 2015, ben 18 volte l’anno di riferimento iniziale) e producono circa 8 miliardi di euro di entrate erariali nette all’anno”.
Per Sandi “il mondo del gioco legale italiano è ora di fronte ad un bivio, tra la maturità consapevole in cui si riconosce il diritto dei cittadini che vogliono giocare a farlo in un “ambiente” di piena legalità, in cui attraverso il gioco pubblico si combatte l’illegalità e si raccolgono fondi preziosi per iniziative di grande valore per la collettività, distribuite attraverso le forme che assicurano la massima tutela e trasparenza negli utilizzi, oppure restare ai margini, colpite da una crescente ostilità con il rischio di arrivare alla proibizione del gioco legale, vanificando il grande sforzo fatto in questi anni e facendo un immenso regalo alla malavita organizzata che non aspetta altro (e che anzi soffia sul fuoco per riappropriarsi di una colossale fonte di guadagno). All’opinione pubblica, alla stampa prima ed alla politica italiana la responsabilità della scelta, è venuto il momento di avere il coraggio di cambiare”, ha concluso Sandi. es/AGIMEG