Rapporto Lottomatica-Censis, per il 66,8% degli italiani il gioco legale fa da argine a quello illegale

Incentivare il gioco legale per combattere quello illegale gestito dalla criminalità, che nel 2020 è aumentato del 50% e ha raggiunto quota 18 miliardi. È quello che pensa il 66,8% degli italiani mentre il 71,2% ritiene che sia fondamentale la presenza di concessionari, autorizzati dallo Stato, affidabili e capaci, in grado di far funzionare il sistema del gioco legale. Questi sono solo alcuni dei dati emersi dal ‘Rapporto Lottomatica-Censis sul Gioco Legale’, presentato a Roma presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica

Il ruolo dello Stato e dei concessionari

L’83,6% degli italiani ritiene che lo Stato deva regolare e gestire il gioco legale a tutela del consumatore e della collettività mentre l’81,7% è convinto che sia compito dello Stato sensibilizzare e informare sui rischi di dipendenza dal gioco. Per gli italiani quindi la lotta al gioco al legale non si fa con soluzioni proibizioniste: infatti, per il 59,8% (il 63,4% tra i laureati e il 63,8% tra i giovani) penalizzare eccessivamente il gioco legale farebbe lievitare il numero di giocatori illegali. È una minoranza del 28,9% a pensare che il divieto di giocare ridurrebbe il numero di giocatori, con vantaggi per la salute pubblica e la collettività.Dal rapporto emerge, inoltre, che la scelta di giocare è trasversale ai gruppi sociali e territori, ma con qualche differenza: giocano gli alti redditi (42,9%) come quelli bassi (35,2%), gli adulti (45,4%) come i giovani (45,2%), ma un po’ meno gli anziani (18%), i residenti nel Sud e Isole (42,4%) come quelli nel Nord Ovest (36,6%), nel Nord Est (31,8%) e nel Centro (37,4%).

I numeri del settore

Il sistema del gioco legale genera benefici come occupazione, reddito, valore aggiunto, gettito fiscale che finanzia la spesa pubblica. Sono 300 i concessionari autorizzati dallo Stato, 3200 le imprese di gestione che, per conto dei concessionari, si occupano del coordinamento del gioco pubblico sul territorio, 80mila i punti vendita tra bar, tabacchi, esercizi pubblici che consentono l’accesso ai cittadini ad uno o più tipologie di gioco legale, 150mila gli occupati diretti e indiretti nel settore. Nella filiera diretta, il gioco legale si compone di 8271 imprese, con circa 40mila addetti e un fatturato annuale di 14 miliardi di euro.

Effetto Covid-19

Il settore del gioco è stato tra i più penalizzati dalle misure restrittive derivate dalla pandemia. Nel 2020 la raccolta complessiva è stata di 88,4 miliardi di euro, di cui 75,4 miliardi tornati ai giocatori nella forma di vincite (85,3%). Circa 13 miliardi di euro è la spesa effettiva sostenuta, distribuita tra erario (circa 7 miliardi di euro) e ricavi delle imprese (circa 6 miliardi di euro). Rispetto al 2019 la raccolta complessiva segna -22,2 miliardi di euro (-20% reale), le vincite -15,7 miliardi di euro (-17,2% reale), l’erario -4,1 miliardi (-36,3% reale), i ricavi delle imprese del settore -2,3 miliardi di euro (-28,9% reale). Nel 2020 l’incremento del gioco a distanza per via della pandemia ha solo parzialmente compensato il crollo del gioco su rete fisica: l’online ha registrato una raccolta pari a 49,2 miliardi di euro, +12,8 miliardi circa di euro rispetto al 2019 (+35,3%), mentre il gioco su rete fisica si è fermato a 39,1 miliardi di euro (-35 miliardi di euro rispetto al 2019, -47,2%).

Illegalità

Diminuiscono i numeri del gioco legale, ma aumentano le cifre di quello illegale in mano alla criminalità. Se nel 2019 il valore del gioco illegale era stimato in circa 12 miliardi di euro, nel 2020 è salito a 18 miliardi (+50%) e nel 2021 rischia di andare oltre i 20 miliardi di euro. Ulteriori segnali della crescita del gioco illegale vengono dalle operazioni di contrasto delle forze dell’ordine: tra inizio del 2020 e aprile 2021 ogni 3 giorni è stata scoperta una sala clandestina, 145 sono le inchieste condotte dalle forze dell’ordine, 1000 le persone denunciate (493 nel 2019).

Rapporto Lottomatica-Censis: “Settore gioco legale conta 300 concessionari autorizzati dallo Stato e 3.200 imprese di gestione”

“Il sistema del gioco legale è un settore economico che genera benefici come occupazione, redditi per gli occupati, valore aggiunto, gettito fiscale che finanzia la spesa pubblica. Sono esiti positivi, misurabili tramite variabili verificabili, che rappresentano altrettante componenti del valore economico, ciascuna delle quali ha poi rilevanti ricadute sociali. L’evidente robustezza economica del settore è emersa più nettamente nel periodo pandemico, quando la sua penalizzazione ha generato costi sociali elevati per le tante persone che vi traggono il proprio sostentamento. Un settore che conta 300 concessionari autorizzati dallo Stato e 3.200 imprese di gestione che, per conto dei concessionari, si occupano della gestione del gioco pubblico sul territorio e in cui nel complesso operano direttamente o indirettamente circa 150mila addetti. Riguardo ai numeri basic emerge che: – la filiera diretta, che fa riferimento ad un Codice Ateco preciso e che include le attività riguardanti lotterie, scommesse e case da gioco nel 2019 era composta da 8.271 imprese per un totale di oltre 40 mila addetti e un fatturato di 14 miliardi di euro; – i punti vendita, imprese sul territorio in cui sono disponibili le modalità di accesso al gioco, sono circa 80mila, tra bar, tabacchi, altri esercizi che comprendono sale bingo, giochi numerici a totalizzatore, giochi a base ippica, giochi a base sportiva, lotterie ecc. Evidente che ciascun punto vendita può disporre di più tipologie di gioco”. E’ quanto riporta il rapporto Lottomatica-Censis presentato oggi a Roma.

cdn/AGIMEG

Rapporto Lottomatica-Censis: “Per l’81,7% degli italiani lo Stato deve sensibilizzare e informare sui rischi di dipendenza da gioco”

“L’81,7% degli italiani è convinto che lo Stato abbia il compito di
sensibilizzare e informare sui rischi di dipendenza dal gioco ma poi
ciascuno deve essere libero di decidere se giocare o meno, con il dato che
arriva all’86,2% tra gli alti redditi, all’83,6% tra i laureati ed all’85,7% tra
chi vive nel Nord Est.
È una concezione molto moderna quella che prevale nella cultura sociale
degli italiani: lo Stato non può chiamarsi fuori dalla società, deve stabilire
regole e informare di eventuali possibili problematiche, poi però esiste la
sfera della libertà individuale in cui la sovranità dei processi decisionali
deve restare assolutamente in capo alle singole persone.
Se i comportamenti non sono patologici, autolesionisti, minacciosi o
dannosi per gli altri e per la collettività, le persone devono essere lasciate
libere di decidere come comportarsi. D’altronde, vi sono milioni di italiani
che giocano con regolarità, dimostrando nel concreto che è possibile giocare
senza eccessi e senza finire preda di derive patologiche fino alla ludopatia
conclamata.
Ecco perché l’azione statuale deve prevenire i comportamenti patologici,
dannosi e autolesionisti, ma non può disegnare per legge lo stile di vita
virtuoso a cui i cittadini-sudditi devono adeguarsi.
Gli italiani sul nesso tra Stato e individuo, tra comportamenti spontanei e
regole discrezionali hanno idee molto chiare, come hanno dimostrato nel
periodo emergenziale pandemico. Solo una situazione assolutamente eccezionale di minaccia conclamata e condivisa alla salute delle persone può
far accettare restrizioni delle libertà personali.
Ed è quanto è accaduto e sta ancora accadendo nel nostro Paese, poiché di
fronte ai rischi reali del virus certificati da contagi, ricoveri ospedalieri e
morti, gli italiani hanno accettato di rinunciare a pezzi della propria
sovranità individuale e alla regolazione statuale di sfere molto personali,
addirittura intime.
Si è così avuta una moltiplicazione di regole restrittive e precetti su quel che
si poteva fare e quel che era vietato, generando vite iper-regolate, con il
consenso dei cittadini.
Ma fuori da situazioni di assoluta eccezionalità, gli italiani sono convinti
che occorra riconoscere il primato dell’autonomia individuale nelle
decisioni, promuovendo l’autoregolazione responsabile che significa
lasciare le persone libere di decidere, ma supportandole con flussi
informativi che offrono strumenti per capire rischi e modalità di
prevenzione degli stessi.
No a imposizioni dall’alto, per editto, di divieti che dovrebbero disegnare
per ciascun individuo uno stile di vita virtuoso, sì alla libertà consapevole
delle persone: ecco il punto di vista degli italiani sul gioco”. E’ quanto riporta il rapporto Lottomatica-Censis presentato oggi a Roma. “La gestione del sistema di gioco legale non è effettuata direttamente dallo
Stato e dalle sue amministrazioni, ma è affidata in concessione ad un
soggetto altro, di solito un gruppo imprenditoriale privato.
Il 71,2% degli italiani ritiene che la qualità delle regole sul gioco stabilite
dallo Stato e la tutela dei consumatori/giocatori dipendano in modo
sostanziale dalla qualità e dall’affidabilità del concessionario, cioè del
soggetto che per conto dello Stato gestisce i giochi: un’opinione condivisa
da quote maggioritarie trasversali ai gruppi sociali con una punta del 78,4%
tra i laureati (fig. 2).
Anche qui, guai a sottovalutare il punto di vista degli italiani: infatti, è forte
la convinzione che le regole resterebbero lettera morta o pura enunciazione
se non ci fosse un concessionario che opera come garante e responsabile
primo del buon funzionamento, secondo le regole, del sistema-gioco.
Le qualità del concessionario, il suo profilo di soggetto affidabile, di elevata
e indiscussa moralità, oltre che imprenditorialmente capace, sono un aspetto costitutivo del sistema del gioco legale, che contribuisce a differenziarlo da
quello illegale, dove le leve di gestione sono in mano a soggetti senza
scrupoli o semplicemente criminali.
Il gioco legale genera valore sociale non solo perché sono fissate regole
precise di vera e propria tutela dei giocatori, ma perché è gestito con un
modello che prevede il coinvolgimento di soggetti imprenditoriali capaci di
gestire in trasparenza l’implementazione concreta delle regole”, conclude.

cdn/AGIMEG

Rapporto Lottomatica-Censis: “Per il 60% degli italiani forte limitazione del gioco pubblico farebbe aumentare giocatori su siti illegali, con grandi vantaggi della criminalità”

“Periodicamente trovano spazio nel dibattito pubblico posizioni estreme che demonizzano il gioco tout court, inclusa la sua versione legale, in nome di una sorta di continuità e similitudine tra gioco legale e gioco illegale, dettata dalla natura stessa del gioco che, di per se stesso, sarebbe un male. Così si rinuncia ad ogni possibile discernimento tra il gioco, che solo moralisticamente o ideologicamente può essere considerato un male in sé, e la gestione del gioco, intesa sia come il sistema di regole del contesto in cui il gioco si svolge che come il profilo e l’azione del concessionario autorizzato, che deve rispettare le regole che lo riguardano direttamente e quelle che garantiscono la tutela dei giocatori. Come rilevato, socialmente tra gli italiani prevale la convinzione che il gioco non sia un male in sé, ma che semplicemente vada regolato e gestito da un concessionario affidabile e di specchiata ed elevata capacità imprenditoriale. A ciò è da associare una buona comunicazione pubblica, anche di fonte statuale, per potenziare le capacità delle persone di giocare senza cadere preda di impulsi, intercettando segnali di possibili derive
patologiche verso forme di vera e propria ludopatia. Non a caso, le soluzioni proibizioniste non convincono gli italiani: infatti, di fronte all’ipotesi di una forte limitazione della possibilità di praticare i giochi legali, per il 59,8% degli italiani si finirebbe per generare un aumento dei giocatori illegali a tutto vantaggio della criminalità. Ne sono più convinti
i laureati (63,4%) e i giovani (63,8%). Numeri che rendono evidente che il proibizionismo per gli italiani è una strategia autolesionista, che finisce sempre per generare risultati opposti alle buone intenzioni da cui presumibilmente muove. Il rigetto dell’ipotesi proibizionista è maggioritario e trasversale rispetto al corpo sociale ed ai territori: vietare è, per gli italiani, un involontario e autolesionistico moltiplicatore del gioco illegale. Solo una minoranza del 28,9% ritiene che proibire il gioco legale ridurrebbe il numero di persone che giocano con un vantaggio per la salute pubblica e la collettività, ed un ulteriore 11,3% di italiani non ha una opinione precisa sul tema. In estrema sintesi, nella cultura sociale collettiva degli italiani del nostro tempo vietare il gioco legale o schiacciarlo in nome della lotta alla ludopatia avrebbe effetti deleteri, poiché significherebbe eliminare il principale argine contro la diffusione del gioco illegale e paradossalmente contro le derive patologiche che colpiscono le persone più fragili, esponendole in solitudine, e sotto il peso dello stigma sociale, alla criminalità. Gli italiani mostrano di aver maturato il senso profondo di quel che in periodo pandemico è emerso in tutta evidenza: svuotare il vaso del gioco legale significa riempire quello del gioco illegale”. E’ quanto riporta il rapporto Lottomatica-Censis presentato oggi a Roma.

cdn/AGIMEG

Rapporto Lottomatica-Censis: “Per l’84% degli italiani lo Stato deve regolare e gestire il gioco pubblico per la tutela dei consumatori”

“L’83,6% degli italiani è convinto che lo Stato debba regolare e gestire il gioco legale a tutela del consumatore e della collettività: è un’opinione che i dati certificano come largamente maggioritaria in ogni gruppo sociale. Vince un’idea molto pragmatica: il gioco è fenomeno che esiste e che non ha nulla di male in sé ed è compito dello Stato delineare il perimetro entro cui può svolgersi senza rischi per i cittadini. E l’idea dello Stato regolatore è associata fortemente alla convinzione che regolazione e gestione statuale siano essenziali per rendere il gioco legale l’argine più alto contro il gioco illegale. Infatti, il 66,8% degli italiani ritiene che il gioco legale regolato e gestito dallo Stato sia il vero argine contro quello illegale. Opinione condivisa trasversalmente con valori che arrivano al 71,3% tra i laureati, al 70,5% nel Nord Est e al 73,4% tra gli alti redditi. Il punto di vista degli italiani è di particolare interesse poiché evidenzia che nella cultura sociale collettiva è radicata la distinzione tra gioco legale e gioco illegale. In pratica, gli italiani sono consapevoli e convinti: – della distinzione tra gioco come forma specifica di loisir e le derive patologiche e socialmente regressive da cui occorre difendersi individualmente e come collettività; – del ruolo decisivo dello Stato, che detta le regole ed esercita i controlli, garantendo che il gioco sia un puro divertissement ed al contempo innalzando un muro insormontabile verso il gioco gestito da spregiudicati esponenti diretti o indiretti del crimine organizzato. Quello degli italiani è un sano pragmatismo che origina dalla capacità sociale di distinguere tra comportamenti: – che rispondono all’umano bisogno di divertirsi, distrarsi, sfidare con levità la sorte da soli o con altri, anche spendendo un po’ di soldi; – patologici che chiamano in causa, da un lato, le pulsioni incontrollabili di persone che si ritrovano preda di eccessi nel gioco con conseguenze che di solito sono costretti ad affrontare in solitudine e dall’altro la responsabilità di gestori criminali che approfittano di tali persone”. E’ quanto riporta il rapporto Lottomatica-Censis presentato oggi a Roma.

cdn/AGIMEG

Rapporto Lottomatica-Censis: “Protrarsi di restrizioni e penalizzazioni del gioco pubblico potrebbe danneggiare ulteriormente imprese, lavoratori e fisco, lasciando spazio alla criminalità”

“Raccontare il valore sociale ed economico del gioco legale: ecco, in estrema sintesi, l’obiettivo del presente progetto. Infatti, troppo spesso il gioco, pratica umana antica e consueta, esito di stimoli diversificati, viene identificato con la sua versione patologica e ridotto ad impulso incontrollabile. Di conseguenza viene sottaciuto che il sistema del gioco legale è un settore economico con imprese, occupati e proventi fiscali per la collettività, un universo altamente regolato dallo Stato e gestito da concessionari, cioè gruppi imprenditoriali affidabili, verificati e capaci. E viene anche misconosciuta l’essenza della funzione sociale del gioco legale: l’essere il nemico più irriducibile del gioco illegale, di solito controllato dalla criminalità. Le prolungate chiusure del periodo pandemico, che hanno duramente colpito l’economia del gioco legale, ne hanno quasi paradossalmente evidenziato, oltre ogni ragionevole dubbio, il valore sociale. Il protrarsi di restrizioni e penalizzazioni ad hoc per il settore potrebbero danneggiare ulteriormente imprese, lavoratori e fisco, lasciando campo libero alla criminalità, che del rapporto con il gioco stimola intenzionalmente eccessi e impulsi distruttivi ad alto costo umano e sociale. È tempo di valutare con attenzione estrema ruolo e funzione reale del sistema del gioco legale, per evitare veri e propri autogol nel rapporto con un settore che è ben altro dalle rappresentazioni semplicistiche e demonizzanti alla base di un’autolesionistica cultura proibizionista. Ecco le finalità del presente Rapporto, che vuol rendere ragione di un settore che ha assoluto bisogno di essere riconosciuto e supportato”. E’ quanto riporta il rapporto Lottomatica-Censis presentato oggi a Roma. “Il gioco legale è un’attività di massa che coinvolge milioni di persone dei diversi gruppi sociali e territori. Le ragioni per cui le persone giocano sono soggettive e molteplici: si gioca per divertirsi, per staccare dalla routine quotidiana, per coltivare con levità un sogno che si sa impossibile, per
socializzare con gli altri o per semplice abitudine. Legittime motivazioni, variamente intrecciate che, per la stragrande maggioranza degli italiani, hanno come esito un’attività responsabile, contenuta, sana, in estrema sintesi, un’attività profondamente umana. Tutto ciò in Italia è reso possibile dal sistema del gioco legale. Ecco allora la prima componente del suo valore sociale: consentire alla umanissima voglia di giocare delle persone di svolgersi all’interno di contesti regolati e trasparenti, nella forma di attività consapevoli, libere da pulsioni incontrollabili. A ciò si associa la seconda fondamentale dimensione del valore sociale del gioco legale: essere l’argine più solido ed efficace allo sviluppo di quello illegale, tradizionalmente sotto il controllo di organizzazioni criminali. Troppo spesso la genericità semplificante delle affermazioni sugli effetti patologici del gioco non aiuta a cogliere il valore sociale del gioco legale, che consente alle persone di giocare senza rischi e preoccupazioni, protette dalla presa della criminalità. L’anno della pandemia si è incaricato di mostrare, con la potenza argomentativa di numeri e fatti, che il blocco di gran parte delle attività del gioco legale favorisce lo sviluppo del gioco illegale e, di conseguenza, i soggetti criminali che da esso traggono profitto. Il nesso stretto tra blocco del gioco legale e decollo di quello illegale, dopo i mesi della pandemia non è più una delle tesi in campo, ma un fatto incontrovertibile. D’altro canto, il gioco legale è anche un settore economico composto da imprese, posti di lavoro, fatturati, redditi diretti e indiretti, gettiti fiscali: un mondo pesantemente penalizzato dalle misure restrittive introdotte dal lockdown in avanti, che ha subìto tagli drastici di fatturati e che nel futuro prossimo vive il rischio di una piccola ecatombe di imprese chiuse e posti di lavoro evaporati. Ecco perché nella ripartenza, come per altri settori produttivi, occorre garantire al gioco legale e ai suoi protagonisti supporti adeguati per la resilienza e la ripresa, rilanciando le imprese in essere e creando nuove opportunità per chi vorrà investire nel settore. Del resto, nella cultura collettiva degli italiani, le idee sul valore sociale del gioco legale sono chiare e definite: infatti, sono convinti che il proibizionismo abbia effetti deleteri perché induce il passaggio all’illegalità di un comportamento che, invece, può esprimersi senza problemi in contesti regolati. Gli italiani sono altresì consapevoli che sia compito dello Stato regolare il gioco legale e al contempo gestire con efficacia una comunicazione di massa che renda visibili i rischi degli eccessi e aiuti le persone a riconoscere i segnali di possibili torsioni patologiche. Riguardo alle forme di ludopatia, per gli italiani è importante non sottovalutare e, al contempo, non generalizzare, mettendo in campo strategie specialistiche, a cominciare da indicatori attendibili per l’individuazione precoce della dipendenza, così da consentire interventi tempestivi ed efficaci. D’altro canto, l’attività di prevenzione e di riabilitazione dalla ludopatia è compito di una pluralità di soggetti che, dalla sanità agli organismi delle comunità, devono poter utilizzare risorse adeguate per interventi mirati e personalizzati. Tale attività non potrà che trarre beneficio dalla capacità più generale del sistema di offrire contesti di gioco controllati, in cui non prevalgono, come nel gioco illegale, gli interessi di soggetti criminali che vorrebbero trasformare i giocatori in prede sottomesse. Nel gioco, come in altri ambiti, è fondamentale l’autoregolazione soggettiva degli individui che, anche in quest’anno pandemico, hanno mostrato un elevato grado di maturità e che, con il supporto di una comunicazione appropriata e funzionale, e l’attivazione di contesti di gioco trasparenti, verificati e regolati, sono sicuramente in grado di fare in autonomia le scelte migliori”, aggiunge. “Chi gioca legale. Nell’ultimo anno, il 37,8% degli italiani ha giocato a uno o più giochi legali tra lotto, lotteria, superenalotto, scommesse sportive e non, bingo, giochi online, slot machine. 19 milioni di persone che nel periodo pandemico hanno giocato legalmente sono la migliore certificazione che il gioco è un’attività praticabile in modo responsabile, contenuto e sano. La scelta di giocare è trasversale ai gruppi sociali e territori con qualche differenza da notare: infatti, giocano gli alti redditi (42,9%) come quelli bassi (35,2%), gli adulti (45,4%) come i giovani (45,2%), ma un po’ meno gli anziani (18%), i residenti nel Sud e Isole (42,4%) come quelli nel Nord Ovest (36,6%), nel Nord Est (31,8%) e nel Centro (37,4%). Un fenomeno di massa consueto e ordinario, componente basic dello stile di vita degli italiani. Stato e concessionari sono decisivi. Per l’83,6% degli italiani lo Stato deve regolare e gestire il gioco legale a tutela del consumatore e della collettività: è un’idea fondamentale condivisa trasversalmente da una netta maggioranza di italiani. E per il 66,8% (è il 71,3% tra i laureati, il 73,4% degli alti redditi) il gioco legale, regolato e gestito dallo Stato, è il vero argine contro il gioco illegale gestito dalla criminalità. Per l’81,7% (l’83,6% tra i laureati, l’85,7% nel Nord Est) lo Stato ha il compito di sensibilizzare e informare sui rischi di dipendenza dal gioco, lasciando però alla libera scelta individuale la decisione se giocare o meno. Per i cittadini, poi, è decisiva la qualità e l’affidabilità dei concessionari autorizzati dallo Stato: lo pensa il 71,2% degli italiani, che diventa il 78,4% tra i laureati. Opinioni che riflettono il valore sociale del gioco legale percepito dai cittadini: infatti, per gli italiani l’esistenza di contesti di gioco resi sicuri dalle leggi dello Stato e dal buon operato dei concessionari sono un fattore di tranquillità per i giocatori e un argine colossale per la criminalità. Proibizionismo inutile contro il gioco illegale. La lotta al gioco illegale per gli italiani non si fa con soluzioni proibizioniste che penalizzano il gioco legale: infatti, per il 59,8% degli italiani (il 63,4% tra i laureati e il 63,8% tra i giovani) limitare il gioco legale farebbe lievitare il numero di giocatori illegali, con vantaggi per la criminalità. È una minoranza del 28,9% a pensare che il divieto di giocare tout court ridurrebbe il numero di giocatori, con vantaggi per la salute pubblica e la collettività, mentre l’11,3% non ha un’opinione precisa sul tema. Vietare il gioco tout court, per gli italiani è una scelta inefficace ed autolesionista. Il valore economico del settore. 300 concessionari autorizzati dallo Stato, 3.200 imprese che, per conto dei concessionari, si occupano della gestione del gioco pubblico sul territorio, 80mila punti vendita tra bar, tabacchi, esercizi pubblici che consentono l’accesso ai cittadini ad una o più tipologie di gioco legale, 150 mila occupati diretti e indiretti nel settore. Ecco alcuni numeri che esprimono il valore economico del gioco legale che, nella filiera diretta, si compone di 8.271 imprese, con 40mila addetti ed un fatturato annuale di 14 miliardi di euro. Effetto Covid-19: tra colpo economico… Nel 2020 la raccolta complessiva del settore è stata di 88,4 miliardi di euro, di cui 75,4 miliardi tornati ai giocatori nella forma di vincite (85,3%). Circa 13 miliardi di euro è la spesa effettiva sostenuta distribuita tra erario (circa 7 miliardi di euro) e ricavi delle imprese (circa 6 miliardi di euro). Il confronto con il 2019 rende evidente il colpo subìto dal settore con l’emergenza sanitaria: infatti, la raccolta complessiva segna -22,2 miliardi di euro (-20%), le vincite -15,7 miliardi di euro (-17,2%), l’erario -4,1 miliardi (-36,3%), i ricavi delle imprese del settore -2,3 miliardi di euro (-28,9%). Tagli che hanno avuto ricadute su chi lavora nel settore, visto che 1.600 sale giochi e sale scommesse non hanno riaperto dopo le chiusure del 2020 e rischiano di non riaprire. …e boom digitale. In linea con l’ascesa del digitale nella società italiana, nel 2020 c’è stato il boom del gioco a distanza: infatti, la raccolta a distanza è stata di 49,2 miliardi di euro, +12,8 miliardi di euro rispetto al 2019 (+35,3%), mentre quella fisica si è fermata a 39,1 miliardi di euro (-35 miliardi di euro rispetto al 2019, -47,2%): in 10 anni, l’incidenza della raccolta a distanza su quella complessiva è passata dal 7,2% del 2010 al 55,7% del 2020. Meno gioco legale più gioco illegale: equazione confermata. L’esperienza pandemica conferma il nesso tra caduta del gioco legale e decollo di quello illegale controllato dalla criminalità. Infatti, se nel 2019 il valore del gioco illegale era stimato in circa 12 miliardi di euro, nel 2020 è salito a 18 miliardi (+50%) e nel 2021 rischia di andare oltre i 20 miliardi di euro. Ulteriori segnali della crescita del gioco illegale vengono dalle operazioni di contrasto delle forze dell’ordine: tra inizio del 2020 e l’aprile 2021 ogni 3 giorni è stata scoperta una sala clandestina, 145 sono le inchieste condotte dalle forze dell’ordine, 1.000 le persone denunciate (493 del 2019). Ludopatie: capirle per agire bene. Nel tempo si è parlato molto di ludopatia, meno è stato fatto per dotarsi di strumenti di conoscenza puntuale e per l’attivazione di un sistema integrato, sanitario e di comunità, di contrasto. Prioritaria è pertanto l’attivazione di un sistema di prevenzione e riabilitazione molto personalizzato, che consenta di individuare precocemente i rischi e attivare tempestivamente soluzioni modulate sul singolo caso. Vietare il gioco tout court resta una pericolosa scorciatoia, che favorisce il gioco illegale, clandestinizza i giocatori compulsivi lasciandoli soli di fronte ai problemi e, in ultima analisi, poco fa per combattere efficacemente il costo sociale e umano delle ludopatie”, continua. “Il riferimento al gioco legale richiama immediatamente il suo contrario: il gioco illegale gestito di solito dalla criminalità, fenomeno patologico, molto radicato, non facile da estirpare. Il gioco legale, oltre ad essere il luogo di espressione di un’abitudine consustanziale alle persone che, di per se stessa non è certo cattiva, è anche l’argine più alto e più solido alla penetrazione della criminalità. Non si può non affrontare il tema del gioco senza la decisiva distinzione tra legale e illegale e senza la consapevolezza che penalizzare il primo finisce sempre e comunque per favorire il secondo. Imporre logiche proibizioniste ad un comportamento molto umano come quello del gioco significa forzarlo nella sfera del divieto, del sommerso e, in questo caso, dell’illegalità. Pertanto, il riferimento al valore sociale del gioco legale è molto concreto, lontano da valutazioni di ordine morale: piuttosto, è pragmatico riconoscere che è l’espressione di desideri umanissimi delle persone e, al contempo, se socialmente organizzato, è anche il modo migliore per evitare che una parte di giocatori finisca nella trappola del gioco illegale e della criminalità che, di solito, lo controlla. La duplicità dell’argomentazione sul valore sociale del gioco legale è importante perché: – consente alle persone di giocare senza rischi, visto che giocare è pratica umana sana che non ha ragione di essere vietata; – protegge individui e comunità dal gioco illegale che è una delle tante forme di penetrazione, investimento e accumulazione della criminalità. Infatti, il gioco illegale non è solo un meccanismo di accumulazione economica criminale, ma una modalità di gestione del potere sul territorio e nelle comunità, che consente di sottomettere e ricattare le persone e diffondere l’usura tramite la quale esercitare una presa d’acciaio sulle attività economiche. Ecco perché bloccare lo sviluppo del gioco illegale è molto più che colpire gli interessi economici di singole organizzazioni criminali: è uno dei pilastri dell’azione complessiva di contrasto all’inquinamento criminale della vita economica e civile delle comunità. Praticare il gioco legale significa consentire che una forma di divertimento, di per se stessa non nociva e amata da tante persone, possa svolgersi in un contesto regolato e controllato. Infatti, il gioco legale rappresenta un circuito trasparente e protetto, dove tutto tende a rimanere in confini fisiologici: è l’esatto contrario del gioco illegale, opaco e sregolato, dove la massimizzazione criminale del guadagno induce sistematicamente le persone all’eccesso e spinge il rapporto con il gioco verso gli esiti patologici. Il gioco legale è un ecosistema irriducibilmente alternativo a quello illegale, di cui è il nemico più acerrimo e implacabile, così come è il miglior alleato di ogni strategia di prevenzione e contenimento dei fenomeni patologici di gioco e delle mire di controllo criminale. Pertanto, si può dire che il gioco legale consente alle persone di giocare in un ecosistema sano che ha la vocazione a svuotare l’ecosistema criminale. In tale quadro non sorprende che, durante l’emergenza pandemica, il blocco prolungato del sistema del gioco legale abbia contribuito a far lievitare il sistema di gioco illegale controllato da soggetti criminali. Valorizzare il sistema del gioco legale, supportarne la tenuta e il rilancio può suonare paradossale alle orecchie di inveterati proibizionisti; invece è un’esigenza non corporativa, di solo singolo settore, ma collettiva, di società, visto che il gioco non è un’attività malsana di per se stessa e quello legale è la diga migliore contro il gioco illegale. La contraddizione non deve e non può essere tra gioco e non gioco, ma tra gioco legale controllato dallo Stato e gioco illegale controllato dalla criminalità. Pertanto, messa da parte la demonizzazione tout court del gioco, è possibile comprendere che per consentire a milioni di persone di giocare in sicurezza è fondamentale un sistema di regole e controlli ed un concessionario affidabile e capace, in grado di far funzionare al meglio il sistema del gioco legale nei suoi diversi aspetti, incluso quello di diga contro la criminalità. Il concessionario è un attore decisivo, di cui poco si parla, e che invece è il garante vero affinché un’ordinaria abitudine collettiva possa svolgersi in tranquillità tramite una macchina efficiente ed efficace, in grado anche di generare il valore economico che ci si attende da un settore con migliaia di imprese e lavoratori”, conclude. cdn/AGIMEG

Rapporto Lottomatica-Censis: “La pandemia ha dimostrato che imporre dure restrizioni al gioco pubblico sposta verso il gioco illegale”

“Gioco legale, gioco illegale, disturbi del gioco d’azzardo e relativi costi
sanitari e sociali devono tutti essere collocati nel loro contesto reale,
allontanando letture che si fondano su prese di posizione quasi ideologiche.
L’irrealismo e l’inefficacia di alcune ricette per combattere il gioco illegale
e la diffusione delle dipendenze da gioco muovono proprio dal rifiuto
ostinato di misurarsi con la realtà, dai numeri ai meccanismi sociali e
culturali che connotano i fenomeni indicati.
I numeri dicono che giocare legalmente è fenomeno di massa, che milioni di
persone giocano con relativa regolarità in modo contenuto, ludico, senza
eccessi o pulsioni incontrollate. Le motivazioni sono soggettive, molteplici e
si modificano anche per ogni singolo giocatore e per ciascun atto di gioco.
Si gioca per divertirsi, per abitudine, per beneficiare di uno stacco mentale
in quotidianità concitate, per coltivare socialità giocando con altri o
semplicemente per poterne parlare amenamente con colleghi o amici, per
coltivare ludicamente un sogno comunque derubricato a impossibile (faccio
questa giocata così poi non lavoro più), come un divertissement che
alleggerisce la routine e allenta la pressione psicologica nel quotidiano.
Tocchi di levità che, se gestiti con la maturità che dimostrano di avere
milioni di persone, altro non sono che un’ulteriore componente dello stile di
vita e mentale con cui gli italiani affrontano la complessità, e a volte la
fatica, del vivere.
Questo è il mainstream del rapporto degli italiani con il gioco legale: per
questo è una forzatura schiacciare questo edonismo responsabile, esito di
una soggettività matura, al ruolo di causa delle forme patologiche, pulsionali
di gioco che generano costi umani, sociali e sanitari.
Fare delle forme patologiche il centro del fenomeno enucleandone la
necessità di misure proibizioniste o orientate a bastonare il gioco legale per
frenare quello pulsionale è errato e inefficace, perché parte da una
rappresentazione estrema e fake della realtà”. E’ quanto riporta il rapporto Lottomatica-Censis presentato oggi a Roma. “Rimettere al centro del gioco legale i comportamenti responsabili di milioni
di persone non vuol dire sminuire le forme patologiche, la necessità di
affrontare efficacemente i disturbi del gioco d’azzardo.
Occorrono strategie multidimensionali che, dalla prevenzione alla fase più
terapeutica, facciano da argine e consentano il roll-back di questa
dipendenza i cui effetti, come noto, colpiscono quote più ampie di persone
rispetto ai giocatori, a cominciare dai familiari.
Le strategie da mettere in campo devono fondarsi sulla responsabilizzazione
individuale e l’empowerment delle persone, creando contesti regolati e
verificabili in cui sia possibile giocare senza rischi, tenendo sotto controllo
le pulsioni, la legittima voglia di trasgressione e le propensioni al gioco.
Ecco perché occorre un salto di qualità nella costruzione di indicatori
personalizzati, applicabili nella concretezza delle azioni di gioco dei singoli,
così da individuare precocemente situazioni a rischio, sulle quali poi
sviluppare strategie e interventi specifici, nel rispetto della privacy.
La letteratura dimostra che per l’online è possibile incrementare indicatori
del livello di rischio di sviluppo di dipendenze a partire dai dati reali di
gioco, elaborando opportuni algoritmi. Tramite questi ultimi sarebbe
possibile in tempo reale, verificati i rischi incombenti, attivare una
interazione coi giocatori.
Sono ipotesi su cui lavorare, sperimentare, che però muovono dalla
consapevolezza che occorre isolare le forme patologiche di gioco, non
annacquarle nell’ordinaria voglia di giocare degli italiani.
Una volta fissata la centralità di strategie di individuazione dello specifico
patologico, si vanno delineando modalità nuove e molto mirate di intervento
anche per la prevenzione sul campo e che, se opportunamente sviluppate e
applicate, potrebbero aprire strade di inedita efficacia per gli interventi
precoci. È ora di mettere da parte l’idea di interventi generalizzanti, che
demonizzano tutto e tutti e che stentano a misurarsi con le specificità molto
concrete delle torsioni patologiche di rapporto con il gioco”, aggiunge. “È evidente, a questo stadio, che misure condizionanti sui luoghi fisici o
comunque generalizzate a impronta restrittiva sono inefficaci o con effetti
molto limitati poiché:
– in tempi di decollo dell’online, e tenuto conto dell’osmosi tra le
varie modalità virtuali e reali di gioco, si tramuterebbero in uno
spostamento di quote di giocatori da una parte all’altra;
– l’esperienza della pandemia ha mostrato che imporre restrizioni sul
pilastro del gioco legale sposta verso il gioco illegale, piuttosto che
verso forme diverse di gioco legale. Se è vietato giocare legalmente
negli esercizi pubblici, è facile che le persone si rivolgano ai circuiti
illegali.
Inoltre, misure restrittive generali rischiano di essere generiche, mentre è
fondamentale promuovere, già in fase di prevenzione, modalità
personalizzate di valutazione del rischio delle persone, colte nel loro
originale rapporto con il gioco.
È il salto di qualità che occorre per un sistema di prevenzione che, dal
sociale al sanitario tramite personale esperto, sia in grado di modulare
contatti, dialogo e intervento sulla specificità irriducibile delle persone.
Sul piano dell’individuazione precoce dei rischi di dipendenza da gioco, ciò
significa puntare su indicatori che possano cogliere il rapporto che sussiste
tra il singolo giocatore e il gioco e, su tale base, promuovere interventi ad
hoc.
Non è un’operazione semplice, anche perché deve fare i conti con la
sacralità della privacy che, man mano che avanza il digitale, diventa un
bisogno sempre più sentito dagli italiani.
Tuttavia, come rilevato, come sta accadendo per altri ambiti e altre tipologie
di dipendenze, sono maturi i tempi per compiere un salto di qualità culturale
e di tecnicità verso un sistema di prevenzione personalizzato, con
individuazione precoce specifica dei casi a rischio”, continua. “L’azione clinica è necessaria ma non sufficiente per affrontare le dipendenze
del gioco: infatti, esse rappresentano un fenomeno con una molteplicità di
radici sociali e culturali che richiedono un’interazione virtuosa tra i tanti e
diversi soggetti che operano nei territori e quelli della sanità.
Il disturbo del gioco d’azzardo si annida nella quotidianità delle persone,
può coesistere anche a lungo con una vita apparentemente normale e sul
piano sociale è un fenomeno che ha sue specifiche forme di manifestazione
già prima che arrivi ad essere clinicamente conclamato.
Ecco perché è importante una mobilitazione reticolare nelle comunità, con
obiettivo il gioco responsabile e, nei casi conclamati, la riabilitazione delle
persone, andando oltre stigmatizzazioni e facili giudizi.
Uscire dalla genericità di inutili allarmismi o di misure restrittive generaliste
o di condanne indifferenziate, per andare sempre più verso un fine tuning
dell’azione di prevenzione e contrasto, è il passaggio decisivo da compiere,
poiché:
– le dipendenze sono fenomeni sociali, ma insediati nella soggettività
irriducibile delle persone: per questo, occorre modulare ogni azione,
preventiva e terapeutica, sullo specifico della persona;
– esiste una tecnicità avanzata, di competenze e di strumentazione, che
se applicata correttamente e in modo diffuso innalza la capacità
sistemica di innescare il roll-back della dipendenza da gioco
d’azzardo”, conclude. cdn/AGIMEG

Rapporto Lottomatica-Censis: “Concessionari figure chiave nell’ecosistema del gioco pubblico ed importante argine a gioco illegale”

“Il periodo pandemico è stato, ed è ancora, una fase assolutamente
eccezionale, che ha stravolto regole che sembravano ormai definitive e
inscalfibili.
Un esempio emblematico è il blocco delle attività economiche sulla base di
un criterio di essenzialità che è stato trasferito poi nel gioco dei codici
Ateco, o ancora la normazione minuta su attività e relazioni quotidiane delle
persone.
Una fase segnata dall’urgenza sanitaria, legittimante sociale delle restrizioni
e che persiste ancora oggi, coinvolgendo ad esempio il tema della
vaccinazione con i relativi obblighi, divieti e controlli.
Tuttavia, guai a perdere di vista la gravità della situazione, ovvero il suo
essere legata ad una pandemia dai costi sanitari e sociali straordinari che
richiedono risposte adeguate e tempestive.
È una situazione in cui lo Stato è vissuto dai cittadini come il salvagente
irrinunciabile a cui aggrapparsi nel pericolo. Di fronte alla potenza dei
numeri di contagi, ricoveri e morti, all’inappellabilità delle argomentazioni
scientifiche, la società ha accettato quasi con sollievo che i comportamenti
individuali fossero oggetto di una regolazione ferrea, intrusiva fin dentro
sfere molto intime di vita.
Come rilevato in precedenza, fuori dall’eccezionalità sanitaria, è
indispensabile che i comportamenti sociali riconquistino la loro autonomia,
e le persone possano tornare ad operare nella piena libertà individuale delle
scelte, con responsabilità e rispetto degli altri.
Una libertà che deve essere lasciata dispiegarsi nei tanti e diversi ambiti
della vita individuale e collettiva e nei conseguenti comportamenti
quotidiani, consentendo alle persone di farlo in sicurezza.
Fissati i confini della legalità e quelli del rispetto del bene comune e degli
altri membri della comunità, l’autoregolazione responsabile dei
comportamenti rappresenta un principio costitutivo della società
contemporanea”. E’ quanto riporta il rapporto Lottomatica-Censis presentato oggi a Roma. “Nel periodo pandemico ha prevalso l’eccezionalità legata al rischio sanitario
da tutti riconosciuto e temuto, portando gli italiani ad accettare vite non
sovrane volontariamente sottomesse a regole fissate dall’alto tramite i
Dpcm.
È vero che nella situazione di emergenza sanitaria la disciplinata
accettazione delle restrizioni da parte degli italiani, con una sorta di delega
di fiducia in bianco allo Stato, è stata un tratto distintivo in positivo del
nostro Paese rispetto a paesi omologhi in cui hanno avuto largo spazio
negazionismi regressivi.
È però fondamentale esplicitare che, anche nella cultura sociale collettiva
degli italiani, il dirigismo quotidiano, inteso come una cultura della
fissazione dall’alto dei comportamenti virtuosi, dovrà essere assolutamente
transitorio, pena il rischio di ritrovarsi, a pandemia finita, con una velenosa
eredità del virus fatta di limitazioni delle libertà personali.
Infatti, pensare di trasferire nell’oltre-pandemia questa logica, magari
applicandola a tutto ciò che, opinabilmente, si ritiene minacci la salute
individuale o collettiva, oppure è suscettibile di generare costi sociali,
sanitari e umani, rischia di stravolgere la sostanza del buon vivere italiano.
Si è già constatato che anche in ambito strettamente sanitario, ad esempio in
materia di stili di vita salutari, il ricorso a proibizionismi estremi, divieti e
restrizioni generiche e immotivatamente generalizzate alla fin fine è
risultato inefficace o addirittura con effetti opposti a quelli ricercati”, aggiunge. “
La soggettività matura delle persone, che sono capaci di praticare
un’autoregolazione responsabile nei micro-comportamenti quotidiani, grazie
anche a un’informazione di qualità che innalza la capacità di discernimento
e di filtrare informazioni buone da quelle cattive, è una componente
costitutiva del buon vivere italiano.
Anche da questo punto di vista, emblematica è stata l’esperienza della
pandemia: infatti, di fronte ad una comunicazione sul virus che ad 8 italiani
su 10 è apparsa per lunghi tratti confusa, contraddittoria e incerta, dal
lockdown in avanti la grande maggioranza degli italiani ha dato prova di sapersi districare bene nell’infodemia quotidiana, tanto da esprimere una
compliance molto alta alle regole, dando prova di grande maturità
nell’emergenza pandemica.
Nel quadro di scelte e decisioni a sovranità individuale limitata di questi 20
mesi di pandemia, trova ulteriore conferma il fatto che l’autoregolazione
responsabile non è mai libero arbitrio, ma il portato finale di un percorso
individuale e collettivo di lungo periodo in cui le persone assumono
decisioni:
– per propria iniziativa, utilizzando le informazioni rese disponibili
tramite una buona comunicazione, così da avere supporto;
– disponendo di strumenti socioculturali sufficienti per comprendere
tra diversi possibili comportamenti, scegliendo quelli che sono più
congeniali e operando un buon compromesso tra le tante diverse
opzioni.
Nel caso del gioco, l’autoregolazione responsabile rifugge dagli eccessi, sia
da quelli della cultura del no sempre e comunque sia da quelli della
sregolatezza. Piuttosto, è compito dell’azione pubblica e in generale della
società garantire empowerment individuale e nelle tante reti sociali,
mettendo sempre e comunque le persone nelle condizioni di fare le scelte
responsabilmente migliori.
Ecco dove si radica l’essenza del vero criterio concreto dei buoni
comportamenti individuali: la capacità soggettiva, discrezionale, di scegliere
comportamenti appropriati, che non sono solitamente l’incarnazione di una
presunta virtù suprema, ma un compromesso molto pragmatico e funzionale
tra stimoli diversi con soluzioni pratiche a beneficio del benessere
soggettivo”, continua. “La società del divieto dall’alto eticamente motivato è la negazione di quella
della maturità soggettiva, che pratica scelte oculate e che rispetta la
complessità delle persone e la connessa varietà estrema di bisogni e
desideri.
Giocare ogni tanto un po’ di soldi, pur nella estrema improbabilità di
vincere, non è di per sé un comportamento patologico che necessita di
sanzioni, né una minaccia sociale che richiede interventi per editto per spingerli nella sfera del divieto: è un comportamento profondamente umano
e, anche per questo, molto diffuso e socialmente legittimo.
Diversa è la problematica degli eccessi, la ludopatia, i disturbi da gioco
d’azzardo e le derive patologiche sul piano sanitario, umano e sociale.
Una società che pian piano dovrà uscire dalle costrizioni dell’emergenza,
recuperando le dinamiche di libertà individuale a cui in fondo deve
storicamente il suo sviluppo, non potrà che rilanciare la potenza
dell’autoregolazione responsabile:
– promuovendo comunicazione ed educazione delle persone,
rendendole edotte dei rischi di eccessi prolungati in ogni ambito,
incluso il gioco;
– attivando una rete efficace di servizi sanitari, sociali, comunitari
capaci di fronteggiare le derive patologiche, in termini di
prevenzione e di riabilitazione nei casi conclamati”, sottolinea. “I dati del periodo pandemico sono la certificazione concreta che al ridursi
del gioco legale cresce quello illegale: tutto converge in questa direzione,
inclusi gli esiti delle attività di contrasto delle forze dell’ordine.
Il proibizionismo del gioco legale è un boomerang rispetto all’obiettivo
socialmente prioritario di ridurre il gioco illegale: ecco allora che solo
comprendendo con estrema attenzione le caratteristiche del secondo si riesce
ad elaborare una strategia vincente.
Il concetto chiave, ad alto valore funzionale, è la distinzione sostanziale tra
il gioco legale, regolato e monitorato, e quello illegale, in mano alla
criminalità, opaco e votato all’eccesso, vera e propria minaccia alla salute
pubblica.
Dal punto di vista delle singole persone è evidente che ci sono patologie
legate agli eccessi nel rapporto con il gioco: ludopatia, disturbi del gioco
d’azzardo non sono invenzioni, ma una triste realtà.
L’evoluzione del gioco illegale, in linea con quello della criminalità, che
tende a riflettere a volte in modo velocissimo l’evoluzione sociale, impone di capire i trend più significativi e le implicazioni per le attività di controllo
e contrasto.
Sul piano operativo il dato altamente significativo è che nel periodo
pandemico e delle restrizioni il gioco illegale ha beneficiato del boom del
gioco a distanza. Per certi versi si può dire che il gioco illegale si è preso la
sua quota di giocatori che sono trasmigrati dal fisico all’online, fenomeno
che attesta come la criminalità, al controllo fisico dei luoghi di gioco abbia
affiancato da tempo un uso intenso e diversificato della tecnologia,
attestando la propria azione illegale sulle nuove frontiere del gioco.
In questo senso, le indagini indicano che i protagonisti del gioco illegale
utilizzano vari strumenti tecnologici e sistemi di frode, con server o
piattaforme illegali situate fuori dei confini nazionali, con opzioni che
rendono particolarmente difficili anche tecnicamente gli accertamenti.
Conta anche il grado di compartecipazione consapevole del giocatore,
poiché non pochi sono i casi in cui le persone si rivolgono scientemente a
siti illegali. È un universo pericoloso, sfuggente, in ascesa, non facile da
controllare come del resto è ormai evidente per tutto il digitale.
Alle nuove modalità di gioco illegale, la criminalità continua ad affiancare,
e per certi versi a rilanciare, il tradizionale impegno sul gioco d’azzardo,
con una pluralità di azioni quali il controllo diretto dei totem all’interno
degli esercizi pubblici, costretti spesso con violenza ad accettarne
l’installazione. E poi ci sono le tante tecniche di alterazione degli slot e una
molteplicità di altre tecniche criminali per impossessarsi dei contesti del
gioco.
E del resto ci sono situazioni in cui i giocatori si rivolgono a punti vendita e
sale di gioco e scommesse completamente illegali, oppure si rivolgono a
soggetti o addirittura corner installati in punti gioco legali, gestiti da regolari
concessionari che però integrano le proprie entrate con attività in nero.
È evidente che il sistema di gioco criminale, oltre alle minacce fisiche,
utilizza la sua capacità di ridistribuire risorse per creare consenso o almeno
accettazione passiva della propria presenza nei punti vendita.
In questo senso, le difficoltà economiche in cui si dibattono troppi esercenti,
tanto più per gli effetti del periodo pandemico, sono un pericoloso fattore di
facilitazione dell’attività di penetrazione criminale.
Del resto, già prima di questa fase eccezionale era evidente che gli esercenti
fossero stretti da vincoli economici non facili da affrontare, quali una tassazione particolarmente elevata e/o regole e divieti vari, ad esempio sul
posizionamento dei punti gioco. Una fragilità economica che rende gli
esercenti più vulnerabili alle pressioni criminali”, aggiunge. “Si è già evidenziato come il concessionario sia una figura chiave
dell’ecosistema del gioco legale e, più ancora, della sua capacità di fare
argine a quello illegale. È un aspetto di cui poco si parla e che invece è ben
compreso da una maggioranza di italiani.
Regole e trasparenza sono criteri importanti nel settore, proprio perché
marcano la diversità del gioco legale rispetto a quello illegale.
Il settore, peraltro, è anche un caso di scrupolosa applicazione della
trasparenza negli appalti, sottoposti a regole particolarmente stringenti e
finalizzate a far emergere possibili problematiche degli aspiranti
concessionari.
È chiaro che le regole per la trasparenza sui meccanismi di controllo e di
verifica sono una dimensione decisiva per rendere il gioco legale il contesto
migliore per consentire alle persone di giocare in sicurezza. Il
concessionario implementa le regole dello Stato, le trasforma da parole
scritte in pratiche concrete, mutando il valore sociale potenziale del gioco
legale in risultati materiali molto concreti, che appunto consentono agli
italiani di praticare un gioco sano.
I concessionari sono imprenditori e pertanto, oltre a implementare le regole
statuali sul gioco, devono garantire le finalità d’impresa, nel rispetto delle
logiche delle attività di intrapresa e delle non poche norme sul lavoro.
Un’operazione complessa, che può essere espletata solo da gruppi con una
solidità di base e cultura imprenditoriale adeguata per la duplice funzione
che sono chiamati a svolgere:
– di voce e volto dello Stato in un settore molto complesso;
– di operatore economico che crea occupazione e genera redditività
economica.
In ultima analisi, è anche importante che il concessionario, che è in fondo il
volto dello Stato anche nell’esercizio indiretto, sia interprete delle regole
che, di fatto, bloccano la strada alla criminalità. Anche questa è una
dimensione di valore sociale che è opportuno richiamare e riconoscere”, conclude. cdn/AGIMEG

Rapporto Lottomatica-Censis: “La prolungata chiusura del gioco pubblico durante i lockdown ha inferto un duro colpo al settore”

“Nel 2020 la raccolta complessiva, ovvero l’ammontare complessivo delle
puntate effettuate dalla collettività dei giocatori è stata di oltre 88 miliardi di
euro, le vincite sono state pari a 75,4 miliardi, cioè l’85,3% della raccolta, la spesa effettiva quindi è stata poco meno di 13 miliardi, ripartita tra gettito
erariale e ricavi per le imprese (net gaming revenues).
Il confronto con l’anno precedente rende evidente il duro colpo che il settore
ha subìto in pandemia, esito della prolungata chiusura a cui è stato costretto:
infatti, rispetto al 2019 si registrano -22,2 miliardi di euro di raccolta (-
20%), -15,7 miliardi di euro di vincite (-17,2%), -4,1 miliardi di gettito
erariale (-36,3%) e -2,3 miliardi di euro di ricavi per le imprese (-28,9%).
Numeri da brivido, i cui effetti sono destinati a durare nel tempo, e che non
sono stati certo colmati da ristori e bonus. Il settore è stato sicuramente tra i
più penalizzati dalle misure restrittive che, di fatto, ne hanno sospeso
l’attività in presenza.
A questo stadio conta non solo la durezza del prolungato periodo restrittivo
e il massiccio ricorso di operatori e lavoratori ad ammortizzatori sociali e
bonus di vario tipo, ma anche le difficoltà future attese che aleggiano.
Infatti, sono stimate in circa 1.600 le sale giochi e sale scommesse che non
hanno ancora riaperto e che, presumibilmente, non riapriranno.
Sono i numeri di una crisi strutturale che ha bisogno di un atteggiamento
molto diverso delle politiche pubbliche in vista del rilancio. Non solo
sostegni per sopravvivere, ma un’attenzione al valore che il settore crea e
che pertanto, al di là delle restrizioni imposte dalla pandemia, va messo
nelle condizioni di dispiegare le sue potenzialità, in un quadro di certezze
per gli investimenti”. E’ quanto riporta il rapporto Lottomatica-Censis presentato oggi a Roma. “Nel mezzo della crisi profonda descritta, nell’anno c’è stato anche il boom
del gioco a distanza, che ha registrato 49,2 miliardi di euro di raccolta, con
+12,8 miliardi di euro rispetto all’anno precedente, pari ad un eccezionale
+35,3%.
Anche se la crescita dell’online non è bastata a colmare il taglio della
raccolta fisica (39,1 miliardi di euro, -35 miliardi di euro rispetto al 2019,
cioè -47,2%), tuttavia ha avuto una performance straordinaria. Da tener
presente che la raccolta del gioco a distanza in dieci anni è salita dal 7,2%
della raccolta totale al 32,9% nel 2019, per poi decollare letteralmente al
55,7% nel 2020. un indicatore evidente della digitalizzazione forzata avvenuta anche nel
settore, in linea con quanto accaduto in altri ambiti della nostra società.
Lockdown, restrizioni, vincoli di ogni tipo hanno indotto l’apprendimento di
massa del digitale ai cittadini, che poi si sono dimostrati particolarmente
smart nell’utilizzarlo in ogni ambito, incluso il gioco.
Pertanto, il ricorso al gioco a distanza non ha una sua dinamica autonoma,
intrinseca, piuttosto è una delle modalità di manifestazione della più
generale digitalizzazione della vita quotidiana degli italiani.
Infatti, solo il 7% delle persone che si collegano al web ha avuto difficoltà
mentre giocava online e, d’altro canto, le persone sono sempre più sicure
nell’accesso al web: quasi 7 su 10 non temono per identità e pagamenti, e
ciò incentiva lo svolgimento online di tutte le attività che generano passaggi
di denaro. In tanti hanno lungamente criticato l’affermazione per cui il gioco legale è il
principale argine contro il gioco illegale: il periodo pandemico si è
incaricato di mostrare nel concreto, come un esperimento di vita reale, la
validità della tesi indicata.
Infatti, a fronte del blocco del gioco legale nei punti vendita fisici, si è
registrato un boom del gioco illegale che, rispetto al 2019, quando il suo
fatturato era stato stimato in circa 12 miliardi di euro è salito nel 2020 a 18
miliardi, +50%. Il persistere di restrizioni nel 2021 rende probabile un
ulteriore rialzo fino a superare i 20 miliardi di euro.
Una dinamica perversa, che tuttavia conferma la funzione del gioco legale
come contesto regolato e trasparente che non solo catalizza la voglia di
giocare nelle persone ma evita anche che almeno una parte finisca per
rivolgersi al gioco illegale.
Ulteriore conferma che il periodo pandemico è stato molto favorevole allo
sviluppo del gioco illegale proviene dai dati sulle attività di contrasto delle
forze dell’ordine: infatti, dall’inizio del 2020 sino al mese di aprile del 2021 è
stata scoperta una sala clandestina ogni 3 giorni, per un totale di 145 inchieste
condotte dalle forze dell’ordine. Le persone denunciate sono state almeno
1.000, più del doppio rispetto al 2019”, aggiunge.

cdn/AGIMEG

Rapporto Lottomatica-Censis: “La lotta alla ludopatia deve staccarsi dall’essere sola una spinta proibizionista del gioco”

“Esiste un pericoloso balletto sulle cifre delle persone che hanno un rapporto
patologico con il gioco d’azzardo, che rientrano nella definizione di
ludopatici, vale a dire persone con problemi di dipendenza dal gioco
d’azzardo.
Nel tempo indagini di fonte diversa hanno espresso risultati anche molto
distanti sul numero di persone definibili come ludopatici. Ed anche questo è
un tema importante, perché indica un’urgenza: mettersi nelle condizioni di
poter esprimere i numeri reali del fenomeno a partire da una definizione
scientificamente condivisa.
In troppi lanciano dati allarmanti, senza avere una base solida di rilevazione,
elaborazione e analisi dei dati stessi.
Il rischio maggiore resta, a questo stadio, la generalizzazione di uno stato
patologico, che avrebbe quale effetto la banalizzazione dello stesso,
attenuando la capacità di affrontarlo efficacemente.
La ludopatia, cosa purtroppo non così scontata, è cosa diversa dall’ordinario
giocare per soldi, perché esprime una condizione patologica precisa: la
dipendenza dal gioco d’azzardo, intesa come comportamento problematico
persistente o ricorrente. Ed è una condizione che rinvia a specifiche
modalità di manifestazione come:
– lo stimolo a giocare risorse crescenti per trovare la soddisfazione
ricercata;
– reazioni irritate o stato di irrequietezza nelle situazioni in cui la
voglia di giocare incontra ostacoli;
– incapacità verificata, magari più volte, di ridurre, controllare,
smettere di giocare che rimanda ad una sorta di ossessione mentale
sul gioco;
– coazione a giocare, anche se in presenza di perdite economiche
rilevanti;
– ricorso a bugie per nascondere l’effettivo coinvolgimento nel gioco,
con via via l’insorgere di problematiche nelle reti relazionali, nel
lavoro o nello studio, fino alla necessità di chiedere denaro per far
fronte ai danni economici dell’eccessivo ricorso al gioco. Una condizione clinica precisa, che rinvia a una deriva patologica sociale,
relazionale e finanziaria: infatti, la ludopatia provoca difficoltà crescenti per
chi ne soffre e, anche per questo, è una problematica sociale su cui giocare
una partita precisa di interventi e scelte.
Di solito ha un carattere di cronicità, rinviando alla relazione con altri
disturbi e dipendenze: inoltre, la ludopatia rimanda a un’estrema
complessità di relazioni che riguarda la psicopatologia della dipendenza
comportamentale e altri eventuali disturbi mentali.
Nel concreto, le persone affette da ludopatia subiscono impulsi
incontrollabili per il gioco d’azzardo, in linea con quanto accade anche per
altri oggetti del desiderio. È evidente che non basta descrivere i
comportamenti di una persona in difficoltà, ma occorre che la stessa persona
ne prenda coscienza, soprattutto per attrezzarsi a fronteggiare impulsi
altrimenti incontrollabili.
I percorsi che portano alla ludopatia e le modalità con cui essa è vissuta
sono molto soggettivi ed elaborare risposte standardizzate rischia di essere
inefficace”. E’ quanto riporta il rapporto Lottomatica-Censis presentato oggi a Roma. “Nel fronteggiare le forme patologiche di rapporto con il gioco d’azzardo,
poco aiuta il clamore mediatico che stigmatizza ulteriormente le persone
coinvolte, che invece avrebbero bisogno di sostegni reali e accessibili per
affrontare gli aspetti psicologici e sanitari e, al contempo, emanciparsi dai
costi della patologia ludopatica che, socialmente, di solito porta ad essere
sotto la presa di criminali ed usurai.
Campagne di sensibilizzazione efficaci devono promuovere una percezione
realistica del fenomeno, senza eccessi enfatizzanti e drammatizzazioni,
evitando al contempo un martellamento mediatico, a volte di stampo
eccessivamente moralistico, il cui esito sarebbe la desensibilizzazione della
pubblica opinione.
In realtà, anche la comunicazione diretta a sensibilizzare dovrebbe uscire dal
generico e puntare sull’individuazione di target di riferimento precisi,
rompendo con logiche di condanna generalizzata del rapporto con il gioco.
Sempre sul piano dell’efficacia dell’azione di sensibilizzazione, è
indispensabile uscire dalla contrapposizione senza soluzione tra giocare e non giocare che, oltre che ideologica e distante dalla realtà, rischia di
attribuire al gioco un sapore trasgressivo pericolosamente fascinoso.
Si è già sottolineato più volte che è centrale la creazione di contesti in cui il
gioco possa esprimersi in modo contenuto, in cui siano possibili interventi
in presenza di pulsioni verso l’eccesso incontrollato, ossia veri e propri
sintomi del disturbo da gioco d’azzardo, come patologia codificata dalla
medicina.
Pertanto, due strumenti sono essenziali per affrontare efficacemente i
disturbi del gioco d’azzardo:
– creare un contesto regolato, controllato, trasparente in cui le persone
possano tranquillamente giocare e sia facile effettuare verifiche ed
eventuali interventi;
– individuare comportamenti sentinella che consentano di cogliere in
fase precoce segnali dei disturbi.
In generale, la ludopatia richiede strategie ad hoc, modulate sullo specifico
di tale condizione e orientate a prevenire con indicatori sentinella per una
individuazione precoce, e una rete di soggetti che dal Servizio sanitario al
socioassistenziale, fino agli organismi di territorio, modulino interventi.
Di certo la cultura della lotta alla ludopatia deve emanciparsi dalla sola
spinta proibizionista del gioco, che rischia di diventare una sorta di
abdicazione sociale e di lasciare sempre più sole le persone alle prese con le
sue cause ed effetti”, conclude. cdn/AGIMEG

Rapporto Lottomatica-Censis: “Il gioco è componente fisiologica della quotidianità ed è un errore interpretare la sua diffusione come patologia sociale”

“Troppo spesso temi di grande impatto sociale sono oggetto di dibattito pubblico riservato a pochi esperti o stakeholder, con un’attenzione ridotta al modo in cui la public opinion vede e vive il tema. Una pericolosa autoreferenzialità di soggetti e mondi che pretendono di dettare dall’alto e, spesso, da lontano, la linea su quel che è giusto o sbagliato di determinati comportamenti che invece sono di massa e coinvolgono milioni di persone nel quotidiano. È quanto accade al gioco, troppo spesso al centro di contese ideologiche o di stampo politico oppure oggetto di letture unilaterali che cancellano la complessità che invece è la vera cifra dei processi sociali contemporanei. In questa fase storica, quindi, è fondamentale comprendere opinioni e comportamenti degli italiani rispetto ad un fenomeno, il gioco legale, che genera un valore economico e sociale che gli viene, nella migliore delle ipotesi, solo parzialmente riconosciuto. Di seguito, quindi, sono analizzati e interpretati i risultati di un’indagine su un campione nazionale rappresentativo di 1.000 italiani maggiorenni, che consente di comprendere se e in che modo gli italiani giocano e quel che pensano dei diversi aspetti del gioco, inclusi i più controversi. Un quadro unico di percezione e pratica del gioco da parte degli italiani che consente, a questo stadio, anche di comprendere cosa la cultura sociale collettiva si attende sia fatto di fronte agli effetti devastanti delle ristrettezze emergenziali sul sistema del gioco legale ed ai rischi di una diffusione a macchia d’olio di quello illegale. Al 37,8% degli italiani è capitato in corso d’anno di giocare a uno o più giochi legali, dal Lotto, a Lotterie, superenalotto, scommesse sportive, ippiche e di altro tipo, Bingo, giochi online, slot machine. Sono 19 milioni gli italiani che hanno scelto di giocare almeno una volta in corso d’anno. Coloro che giocano più spesso, gli abituali, sono 4,1 milioni: guai a considerarli ludopatici o giocatori patologici, perché sono semplicemente persone a cui capita un po’ più di frequente di giocare ad uno dei giochi prima indicati, nei luoghi fisici o online. Si tratta di comportamenti che rientrano nella fisiologia del giocare e non possono e non devono essere d’autorità incasellati nel patologico. Non si notano differenze rilevanti nelle quote di giocatori per gruppi sociali e territori, fatta salva qualche eccezione e diversità da notare. In particolare: – tra gli anziani (18%) c’è una quota di giocatori inferiore a quella di adulti (45,4%) e giovani (45,2%); – al crescere del reddito le quote di giocatori tendenzialmente crescono, anche se non di molto. Infatti, i giocatori sono il 35,2% tra i bassi redditi e il 42,9% tra gli alti redditi; – nelle regioni del Sud-Isole (42,4%) si registra una quota più elevata rispetto a Nord Ovest (36,6%), Nord Est (31,8%) e Centro (37,4%). Numeri che rendono il gioco legale un fenomeno di massa, socialmente trasversale, che coinvolge persone di età, sesso, titolo di studio, professione, disponibilità economica e luogo di residenza molto diverse tra loro. In definitiva il gioco è componente fisiologica della quotidianità e sarebbe un errore interpretare la sua diffusione di massa come patologia sociale. Infatti, il gioco legale è praticato da italiani che hanno condizioni economiche, convinzioni politiche, religiose, sociali e aspirazioni e opinioni anche molto diverse e distanti tra loro. Se i numeri non hanno di per se stessi il potere di sancire natura e significato sociale di un fenomeno, tuttavia in questo caso non sono irrilevanti perché raccontano di un’abitudine spontanea, diffusa, ordinaria e innocua, se svolta nella giusta misura e nel contesto appropriato. Ed è quel che gli italiani fanno con ordinaria abitudinarietà. Ecco perché il gioco svolto nel contesto legale, regolato e controllato, non è una piaga che colpisce chi gioca e la società, ma appunto un’abitudine ordinaria. Praticare il gioco legale è parte integrante di uno stile di vita che annovera tale abitudine tra le modalità di entertainment che le persone scelgono per tante e diverse ragioni. E non c’è alcuna legge che trasformi sempre e comunque, quasi automaticamente, la voglia di giocare in un impulso irrefrenabile che trascina le persone in una patologica spirale autolesionista, con alti costi per se stessi e le famiglie”. E’ quanto riporta il rapporto Lottomatica-Censis presentato oggi a Roma.

cdn/AGIMEG

Angelozzi (ad Lottomatica) ad Agimeg: “Fondamentale studiare e comprendere bene il fenomeno per affrontare in maniera serena opportunità e problematiche legate al gioco legale”

“Questo rapporto sul gioco legale nasce dalla necessità di studiare e comprendere i fatti prima di valutare. Se si pongono interventi senza aver prima studiato e compreso il fenomeno nella sua interezza si fanno degli errori. Questo ha un valore anche dal punto di vista del metodo: prima studiare il fenomeno e poi confrontarsi e aprirsi al dibattito per affrontare in maniera serena problematiche e opportunità che questo settore porta alla società nel suo complesso”. E’ quanto ha dichiarato ad Agimeg Guglielmo Angelozzi, Amministratore Delegato Lottomatica, alla presentazione del Rapporto Lottomatica-Censis presentato oggi a Roma. “I cittadini hanno delle loro opinioni spesso più mature di quelle che a volte anche la politica pensa. Sono in grado di esprimere una valutazione: cioè che il gioco legale è un argine a un problema ben più grande che si manifesta quando flussi e domanda sono gestiti dalla criminalità o dall’illegalità in generale. Non esiste un’equazione gioco legale uguale gioco sano. Ci può esserci un problema anche all’interno del gioco legale, problema che va gestito all’interno delle regole con consapevolezza e responsabilità. Certamente c’è l’equazione opposta, ossia gioco illegale uguale gioco che fa male. Questa equazione è stata trascurata per molto tempo. Una equazione di cui eravamo consapevoli 15 anni fa, quando legislatore e politica hanno normato questo settore più e meglio di altri Paesi, lo abbiamo recentemente un po’ dimenticato ma la pandemia ce lo ha ricordato”, ha concluso Angelozzi. lp/AGIMEG

Angelozzi (Lottomatica): “Per proporre interventi in materia di giochi necessario mettere da parte il pregiudizio”

“Legalità, salute, impresa e lavoro sono alcuni dei temi sui quali dà il proprio contributo l’industria del gioco, il tutto in ottica di sostenibilità. Per proporre interventi in materia di giochi serve mettere da parte il pregiudizio in questa materia”. E’ quanto ha detto Guglielmo Angelozzi, Amministratore Delegato Lottomatica in apertura del Convegno di presentazione del rapporto Lottomatica-Censis in corso oggi a Roma. cr/AGIMEG

De Rita (pres. Censis) :”Non bisogna avere paura della ludopatia e del gioco legale, ma gestirli puntando su una rete legale trasparente, legale e ben distribuita”

“Il gioco va trattato non solo dal punto di vista economico ma anche sociale, come fenomeno che riguarda la collettività” – ha aperto cosi il suo intervento Giuseppe De Rita, presidente del Censis, nel corso della presentazione del Rapporto sul gioco pubblico di Lottomatica e Censis, in corso a Roma. “Ci sono tre importanti elementi legati al settore del gioco legale. Il primo è che il gioco c’è, esiste ed il 40% della popolazione lo segue, nella maggior parte dei casi, in maniera ludica. Il secondo elemento da valutare è che la ludopatia è un fenomeno singolo non collettivo. Una problematica che l’isolamento aggrava e che quindi va trattata tenendo conto di queste caratteristiche. Il terzo elemento è il rapporto tra gioco legale ed illegale. Lo Stato non deve comprimere il gioco legale, dando cosi spazio all’illegale, ma gestirlo. E lo si può fare attraverso la rete dei concessionari, attività molto importante in tal senso ma anche attraverso i lavoratori che rappresentano anche loro una rete da tutelare e valorizzare. Non dobbiamo avere paura delle paure – ha concluso De Rita – come ludopatia e gioco illegale che possono essere gestite e combattute rendendo la rete del gioco legale più trasparente, qualificata e distribuita in maniera efficace”. cr/AGIMEG

Freni (sottosegr. MEF): “L’unico sistema per far uscire il gioco legale dalla nebbia di pregiudizi è puntare sulla qualità della regolamentazione”

“Mentre parlava il dottor De Rita, sulla parte delle paure, mi è venuto in mente un cartone animato che guardo con mia figlia. Si tratta di un cartone dove dei mostri spaventano i bambini e traggono energia dalle loro paure. La stessa cosa può avvenire sul gioco legale. Quando non avremo più paura del gioco toglieremo energia a questa paura irrazionale”, ha dichiarato Federico Freni, sottosegretario all’Economia con delega ai giochi, nel corso del suo intervento alla presentazione del rapporto sul gioco pubblico Lottomatica e Censis. “Bisogna superare i pregiudizi che non dovrebbero appartenere al legislatore. Ad esempio, il gioco online è stato sicuramente evidenziato dalla pandemia, ma sarebbe comunque cresciuto lo stesso perché la società si sta sempre più spostando per ogni attività su questo segmento. Il dovere del legislatore è di uscire dall’equivoco che il gioco legale, in quanto tale, sia un problema. Se restiamo nella nebbia che avvolge il gioco legale il sistema non funziona. L’unico vero sistema su cui puntare è quello sulla qualità della regolamentazione. Mi impegno a migliorare la qualità della regolamentazione. Il disturbo da gioco d’azzardo va seguito attraverso una attività di prevenzione, molto più efficace della cura. Il proibizionismo non serve. Il nostro proibizionismo – ha concluso Freni – deve essere la qualità delle regole, il loro rispetto, non lasciare nessuno indietro ed un processo virtuoso che mette insieme pubblico e privato. Così usciremo dalla nebbia che circonda il gioco legale sano e pulito”. es/AGIMEG

Severino (prof.ssa Diritto Penale Luiss): “Sotto pandemia gioco illegale cresciuto del 50%. Espandere area legale per restringere gioco illegale gestito da criminalità. Concessionari migliori alleati del gioco legale per combattere i reati”

“La distinzione tra gioco legale e illegale è fondamentale. Il rapporto Lottomatica-Censis ha sgominato ogni pregiudizio dimostrando come il gioco legale contribuisca all’economia del paese. Il gioco è un’attività umana e legittima ma va controllata. La regolamentazione del gioco legale scaccia il gioco illegale. È un tema culturale prima ancora che giuridico. Il gioco legale consente di giocare in luoghi predisposti ed in tutta sicurezza e trasparenza. Il gioco regolamentato è argine allo sviluppo del gioco illegale che è tradizionalmente in mano alla criminalità. Più espandiamo l’area legale più allontaniamo l’illegale”. E’ quanto ha dichiarato, nel corso della presentazione del Rapporto sul gioco pubblico di Lottomatica e Censis, Paola Severino, professoressa di Diritto Penale dell’Università Luiss. “La pandemia ha evidenziato che dove il gioco legale era chiuso, l’illegalità è cresciuta di più del 50%. Il quadro normativo parte dal codice penale agli art. 718 e 720 che punisce chi pratica gioco d’azzardo fuori dal perimetro regolamentato. L’Art. 4 della legge del 13 dicembre 1989 è intervenuto nel settore del gioco contro le scommesse clandestine per impedire che certi giochi siano svolti da soggetti che la legge esclude. Solo le attività controllate dallo Stato sono capaci di alimentare le entrate fiscali. Il decreto legislativo 231/2001 ha inserito il reato di frode nel gioco. Il concessionario è il migliore alleato della legalità per prevenire reati, soprattutto di questo tipo. Nel mirino del legislatore ci sono anche i reati contro il riciclaggio e in Italia la normativa antiriciclaggio esiste già da 1992. Nel decreto antiriciclaggio del 2007 sono stati istituiti tre obblighi, ovvero un’adeguata verifica, la segnalazione di attività sospette e la conservazione dei dati. Ciò vale per le banche ma anche per i concessionari del gioco che inviano segnalazioni di attività sospette all’Uif. Fondamentale anche l’attività di Adm che ha potere di emanare linee guida e standard tecnici ai concessionari in materia preventiva. Un ultimo aspetto riguarda la partnership tra pubblico e privato. Lo Stato – ha concluso – conferisce e regola le concessioni con conseguenti vantaggi culturali e sociali. Un contesto ideale per combattere la criminalità e garantire il ritorno economico e occupazionale a tutto vantaggio del singolo individuo e della società”. cr/AGIMEG

Minenna (DG ADM): “Al lavoro su gara per il gioco online. Necessario testo unico sul gioco pubblico”

“Il Rapporto Lottomatica-Censis mette a fuoco il settore del gioco dando un adeguato supporto numerico che consente di arrivare a conclusioni univoche basate sui numeri. Bisogna evitare che lo Stato si trovi in difetto normativo a rincorrere l’illegalità in questo settore. Adm ha il potere di vigilanza regolamentare ispettiva e sanzionatoria ma fa fatica a procedere con le gare. Si va avanti con proroghe prive di strategia, con Tar che dà torto ai meccanismi di decadenza delle licenze. Come Adm abbiamo proposto il rilancio ad esempio delle strutture degli ippodromi e la valutazione della compartecipazione delle risorse derivanti dal gioco a favore degli enti locali. Ciò tuttavia nn significa che gli enti locali possono aumentare punti gioco per fare cassa”. E’ quanto ha detto il Direttore generale dell’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli, Marcello Minenna nel corso della presentazione del Rapporto sul gioco pubblico di Lottomatica e Censis. “Avere un gioco regolato con un payout superiore al 60 percento consente di lavorare su strutture tecnologiche per contrastare la ludopatia ed evitare una deriva del gioco patologico. Va inoltre rafforzato il controllo sul gioco nella rete fisica. Se del giocatore online sappiamo tutto, nn così per chi entra nella sala. Solo così possiamo tutelare i giocatori. L’esperienza pandemica ha visto Adm in prima linea con 4 miliardi di mascherine portate con i ponti doganali. Nel gioco abbiamo attivato il Copregi attraverso cui Adm coordina la repressione del gioco illegale sul territorio tramite Guardia di Finanza, polizia e carabinieri. In pandemia abbiamo chiuso oltre 250 sale illegali vestite legalmente con sanzioni per milioni di euro. Abbiamo lanciato l’app gioco sicuro che consente al giocatore di sapere se una slot o una sala giochi è legale ma che a causa della mancanza di una norma nn consente di applicare il whistleblowing. Stiamo lavorando alla gara sul gioco online ma a mio giudizio nn sono soddisfatti i criteri e rischia di diventare miscela che aumenta gioco online da paesi dove la regolamentazione nn esiste. Serve un testo unico sul gioco pubblico visto che oggi ci sono migliaia di norme sparse in milleproroghe e decreti semplificazioni”, ha aggiunto. cr/AGIMEG

Cafiero de Raho (proc. naz. Antimafia): “L’illegalità si mimetizza nel circuito legale, soprattutto durante la pandemia”

“Il gioco legale nn esclude l’illegalità ma la limita. Oggi le mafie si insinuano sempre più nel mercato del gioco dovendo occultare la propria grande liquidità. Spesso utilizzano un reticolo di società su piattaforme estere. Il mercato libero europeo si espone a problematiche di controllo. Chi controlla la società estera che raccoglie gioco in Italia? Diverse operazioni come Galassia e un’altra del 2018 e 2019 che ha interessato le procure di Bari, Catania e Reggio Calabria nel contrasto a organizzazioni mafiose che hanno costituito una rete di società per le scommesse online, dimostrano il giro d’affari illegale nel settore. Abbiamo sequestrato 1500 punti di raccolta con 2 miliardi di euro di sequestri, a testimonianza degli investimenti delle mafie in questo settore. Il gioco online continua a crescere ma allo stesso tempo la criminalità si affianca sempre più alle attività legali in difficoltà economica. L’illegalità si mimetizza nel circuito legale soprattutto durante la pandemia. Illegalità settore gioco stimata in 12 miliardi nel 2019, in 18 miliardi 2020 e oltre 20 miliardi 2021. Settore del gioco più di altri corre il rischio di infiltrazioni mafiose in quanto consente raccolta gioco in contanti spesso provenienti da piazze di spaccio e inseriti nel circuito legale. Le sale meriterebbero maggiore controllo anche per la presenza di soggetti usurai che gravitano nelle loro vicinanze. Sempre più le attività economiche sono passate nelle mani della criminalità sotto la pandemia”. E’ quanto ha detto il Capo della Direzione Nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho nel corso della presentazione del Rapporto sul gioco pubblico di Lottomatica e Censis. cr/AGIMEG