Tar Milano: Limiti orari imposti a sale giochi giustificati solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici

Stabilire limitazioni alle attività di un esercizio pubblico, anche quando questo è una sala giochi, è legittimo solo se sono comprovate esigenze di tutela dell’ordine e/o della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica. Tuttavia, l’introduzione di limiti alla liberalizzazione è consentita dal Legislatore soltanto in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), i quali non possono, aprioristicamente e senza dimostrazione alcuna, ritenersi incisi. E’ quanto hanno stabilito i giudici del Tar di Milano accogliendo il ricorso del titolare di una sala giochi contro la nota di un Comune lombardo che ha introdotto limiti orari all’attività di sala giochi. La causa è stata discussa e decisa con sentenza definitiva. Secondo il ricorrente sia il diniego opposto dal Comune quanto la disposizione regolamentare su cui esso si basa sarebbero stati assunti  “incidendo in materia riservata esclusivamente alla competenza dello Stato” e comunque non si trattava “di provvedimenti assunti, dal Sindaco e, in ogni caso, sulla base di speculazioni generiche, prive di adeguata e concreta istruttoria, in assenza dei presupposti normativamente richiesti”. Il Collegio, confermando il convincimento e il percorso motivazionale già espresso in sede cautelare ed in altri precedenti  (in particolare la recente sentenza 7 novembre 2013, n. 2479), ha “reputato il ricorso fondato. “Le Amministrazioni comunali possono regolare l’attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici mediante l’esercizio del potere previsto dall’art. 50, comma 7, del D.lgs. 267/2000, graduando, in funzione della tutela dell’interesse pubblico prevalente, gli orari di apertura e chiusura al pubblico. Tuttavia, come osservato in diversi precedenti della Sezione, l’ampiezza di tale potere è stata oggetto di riforma per effetto della modifica legislativa introdotta dall’art. 31 del D.L. 201/2011, convertito nella legge 214/2011 (c.d. decreto “Salva Italia”), che ha riformato l’art. 3 del D.L. 223/2006 nel senso che “le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni (…), il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio”. Occorre, poi, considerare che l’art. 3 del D.L. 138/2011, convertito nella legge 148/2011, ha affermato, in tema di abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche, il principio secondo cui “l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge”, derogabile soltanto in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), che nella specie non possono, presuntivamente, ritenersi incisi. “La liberalizzazione degli orari non preclude all’Amministrazione comunale di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e/o della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica. Tuttavia, l’introduzione di limiti alla liberalizzazione è consentita dal Legislatore soltanto in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), i quali non possono, aprioristicamente e senza dimostrazione alcuna, ritenersi incisi. Allorquando il Comune ritenga di dover “combattere” determinate situazioni di potenziale turbamento di specifici interessi pubblici degni di tutela, ha il potere di emanare specifiche ordinanze, ad effetti spaziali e temporali limitati. Nella specie, anche la motivazione contenuta nella nota depositata dall’amministrazione comunale (pur non costituitasi in giudizio) il giorno 11 settembre 2011 appare insufficiente: la necessità di “contenere i rischi connessi alla moltiplicazione delle offerte, delle occasioni e dei centri di intrattenimento aventi ad oggetto il gioco d’azzardo”, è affermazione del tutto generica e per nulla circostanziata”. lp/AGIMEG