DL Rilancio, Pisauro (UPB): “Decreto ha un impatto significativo sui saldi di finanza pubblica, massima attenzione su misure di sostegno a lavoratori e imprese”

“Ci siamo concentrati su due gruppi di misure in questa relazione: quelle che riguardano il sostegno dei lavoratori in genere, dipendenti e autonomi, e le misure che riguardano le imprese. Il decreto ha un impatto significativo sui saldi di finanza pubblica. Le misure che esso contiene comportano un peggioramento dell’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche del 3,3 per cento del PIL nel 2020 e dell’1,5 nel 2021, in linea con quanto indicato nella Relazione e nel Documento di economia e finanza presentati al Parlamento in aprile. Il suo impatto finanziario farebbe salire il deficit delle Amministrazioni pubbliche al 10,4 per cento del PIL nel 2020 e al 5,7 nel 2021. Gli interventi del decreto sono concentrati essenzialmente sull’anno in corso data l’eccezionalità della situazione di emergenza; sugli anni successivi influiscono la disattivazione delle clausole di salvaguardia sulle imposte indirette, IVA e accise, alcuni altri nuovi interventi e gli effetti pluriennali di taluni provvedimenti del 2020. Il decreto dispone misure di incremento dell’indebitamento netto tendenziale delle AP con impieghi per 57 miliardi nel 2020, per 31 miliardi nel 2021 e per 36 nel 2022. Al netto della completa disattivazione delle clausole di salvaguardia su IVA e accise dal 2021, i nuovi interventi implicano un peggioramento del disavanzo di 10 miliardi circa, cifra analoga nel 2022. Le risorse di copertura sono pari a 1,4 miliardi nel 2020, a quasi 5 miliardi nel 2021 e a un miliardo nel 2022”. E’ quanto ha detto in Commissione V Bilancio della Camera, nell’ambito dell’esame del disegno di legge di conversione del decreto recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19, il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro. “Nella memoria relativa al DL 18/202045, per tenere conto delle plausibili asimmetrie nel ricorso ai diversi strumenti messi a disposizione dal decreto, è stata proposta una analisi di scenario in cui si sono ipotizzati diversi take up sulla base di una classificazione dei settori per grado di rischio, maggiore per i settori interessati dal blocco, medio per i settori non bloccati ma comunque condizionati dall’epidemia e basso per i settori plausibilmente meno colpiti. Per la valutazione dell’impatto delle misure di sostegno al reddito la classificazione è stata rivista alla luce del nuovo assetto della Fase 2, mantenendo comunque una valutazione di rischio alto per i settori ancora bloccati e di rischio medio per i settori sbloccati ma che comunque potrebbero essere ancora condizionati dagli effetti dell’epidemia. Si assume un rischio elevato per tutti i settori connessi con le attività turistiche e di ristorazione e dei servizi ricreativi e culturali e per porzioni più limitate dei settori del commercio, dei trasporti e di altre attività dei servizi. Si assume un rischio medio per il comparto manifatturiero, benché risulti completamente sbloccato, in considerazione degli effetti indiretti della crisi, con esclusione dei comparti legati all’industria alimentare e chimico-farmaceutica. Si assume un rischio basso per i rimanenti settori. Nel complesso si valutano a rischio alto e medio, rispettivamente, circa l’11 e il 46 per cento dei settori”, ha sottolineato parlando di misure di sostegno al reddito dei lavoratori e delle famiglie. Per quanto riguarda gli interventi in favore delle imprese. Tra le misure contenute nel decreto – si legge nell’audizione – emergono quelle volte a sostenere la liquidità e il finanziamento delle imprese e quelle di sospensione ed esonero del pagamento delle imposte. Le misure del primo tipo rispondono all’esigenza di affrontare la fase successiva a quella strettamente emergenziale alla quale sono state rivolte le misure finora introdotte. Si tratta in generale di misure caratterizzate da una più stringente selettività e differenziate in relazione alle dimensioni e alla natura giuridica dell’impresa. Un obiettivo generale che l’insieme di queste misure si pone è quello della patrimonializzazione delle imprese, per evitare il rischio che gli strumenti di sostegno del credito messi in campo nella fase emergenziale lascino la struttura finanziaria delle imprese troppo appesantita sul lato del debito, con la necessità di destinare il flusso di cassa dei prossimi anni ai rimborsi anziché al finanziamento degli investimenti. E questo in un momento in cui i mutamenti della domanda e dei modelli imprenditoriali obbligheranno probabilmente a costose operazione di riconversione. Per le imprese di media dimensione e per quelle più grandi, le misure adottate sono finalizzate a rafforzare la loro struttura finanziaria prestando attenzione a un maggiore equilibrio delle fonti di finanziamento delle società e creare quindi condizioni più favorevoli per gli investimenti che saranno fondamentali per la ripresa e la riqualificazione delle attività produttive. Gli incentivi agli apporti di capitale sembrano quindi completare le agevolazioni per il finanziamento delle imprese che erano finora prevalentemente concentrate sul capitale di debito. Si può peraltro osservare che l’estensione della possibilità di ricorrere a ulteriori prestiti di natura obbligazionaria per un sottoinsieme delle imprese che beneficiano del credito di imposta, attraverso il canale privilegiato del Fondo Patrimonio PMI introdotto dal decreto, è strettamente subordinata all’apporto di capitale proprio nella stessa società, garantendo quindi un maggiore equilibrio tra le fonti di finanziamento esterne e interne. Per le imprese beneficiarie, queste agevolazioni si affiancano temporaneamente all’ACE, determinando un forte potenziamento dell’incentivo alla capitalizzazione. Si deve tuttavia sottolineare che il beneficio è indirizzato a un numero ristretto di imprese dato che la classe di ricavo ammessa rappresenta meno del 5 per cento delle società di capitali e circa il 25 per cento dei ricavi complessivi. Per le imprese più grandi, costituite come Società per Azioni, lo stesso obiettivo dovrebbe essere garantito dal Patrimonio Destinato; tuttavia, la maggior parte delle imprese, quelle con fatturato inferiore a 5 milioni, resta esclusa dagli incentivi al rafforzamento patrimoniale. Queste ultime non solo potrebbero subire un deterioramento maggiore dei loro bilanci, ma le difficoltà di reperire ulteriori finanziamenti potrebbe rallentare i loro investimenti e ostacolare la loro crescita dimensionale. Nell’ambito delle misure del secondo tipo – conclude -, spiccano quelle che prevedono veri e propri esoneri dal pagamento delle imposte, come nel caso della abolizione del saldo 2019 e del primo acconto 2020 dell’IRAP per la maggior parte delle imprese. Trattandosi di una riduzione di imposta generalizzata e rilevante anche per molti settori che hanno risentito meno della emergenza, tale misura appare meno coerente con la finalità di indirizzare le risorse pubbliche alle imprese maggiormente colpite dalla crisi che sembra caratterizzare questa nuova fase di interventi. Già nei primi anni dopo la sua introduzione l’IRAP è stata oggetto di discussione e il mondo imprenditoriale ne ha richiesto ripetutamente la soppressione. Se questa misura dovesse rappresentare un primo passo in questa direzione emergerebbe la necessità di ripensare al quadro complessivo di tassazione delle imprese e del finanziamento del sistema sanitario. Ecco il testo dell’audizione. cdn/AGIMEG