Eventi, prof. Bolz “Chi non gioca non vive”

All’uomo che gioca dobbiamo tutto ciò che ha veramente valore: la cultura, la creatività e la gioia di vivere. In passato questo era un concetto noto, ma poi nel XIX secolo, quando la religione ha cominciato a sostenere con fervore l’importanza del lavoro, l’abbiamo dimenticato. Il comfort della società del benessere ha completamente scacciato il concetto di piacere dalla nostra vita. A questo si è aggiunta l’ostilità puritana della politica nei confronti del piacere, che pretende di imporre delle regole perfino nella nostra vita privata, perché crede di sapere meglio che cosa è bene per noi. Giocando ci ribelliamo a questo paternalismo. Il gioco ci affascina perché ci conduce nel Paradiso della Sostanza.
La sostanza però non è ciò che è utile! Il luogo in cui si gioca è un mondo chiuso, dove tutto è preordinato. Le regole del gioco garantiscono un ordine grazie al quale si sa sempre che cosa si deve fare. Per questo il mondo del gioco è “migliore” della realtà. Il gioco è affascinante perché mette il giocatore al centro dell’attenzione, lo assorbe completamente. Il gioco ci fa vivere in modo assoluto l’appagamento dell’attimo e libera quelle sensazioni che altrimenti nella vita quotidiana non trovano più una collocazione.

La gioia per il gioco ci mostra il cammino verso la felicità. Voler associare il gioco solo a ciò che è “salutare” o “didattico” scaturisce da una errata valutazione della natura umana ed è purtroppo una dabbenaggine assai diffusa. Naturalmente può essere salutare giocare a tennis e naturalmente si può anche imparare qualcosa giocando a World of Warcraft, ma giocare significa ben altro, infatti è con il gioco che si esprime la gioia di vivere. Si può spiegare questo concetto soprattutto analizzando i giochi di fortuna e di azzardo. Nei giochi di fortuna gli uomini sono tutti uguali, tutti sono attratti dalla seduzione della casualità.

Tutti questi temi sono trattati nei primi quattro capitoli. Gli ultimi invece riprendono i motivi che mi hanno spinto a scrivere questo libro. Il primo motivo è che io stesso sono un appassionato giocatore. Io sono a favore di qualsiasi gioco nel quale si vince e si perde; e soprattutto sono un appassionato tifoso di calcio. Per questo ho dedicato un capitolo esclusivamente allo sport che poi, in realtà, è più che altro un appello: salvate la natura dell’uomo! Il secondo motivo è dato dalla ricerca che ha svolto la mia assistente Johanna Lange, la quale ha concentrato la sua attenzione al campo dei media che io, invece, ho imperdonabilmente trascurato per lungo tempo; mi riferisco qui ai giochi al computer. Soltanto grazie al suo lavoro ho compreso che non si tratta solo di una qualsiasi attività per il tempo libero, bensì alla possibilità di un rapporto completamente nuovo con il mondo. Il terzo motivo, infine, prende le mosse da un movimento culturale davvero rivoluzionario che si chiama Gamification, dove i confini tra il mondo del gioco e la realtà quotidiana si confondono. Si tenta di risolvere problemi reali trasformandoli in gioco e questo vale per l’economia, l’istruzione, come pure per la scienza militare.

L’uomo che gioca recupera l’attenzione che il mondo moderno gli aveva negato, nel momento in cui il gioco fa irruzione nella realtà. Quindi voglio cominciare con un invito “All’insegna di una gaia scienza del gioco”, che altro non è se non una teoria della gioia di vivere. Il semplice messaggio di questo libro è: “Se ti piace giocare, fallo, ma con giudizio!”. lp/AGIMEG