Online, denuncia su Youtube un bug nel sistema di un operatore e chiede 2,5 milioni. Ma per la Cassazione non è estorsione

Non commette estorsione chi scopre una falla nel sistema di gioco di un operatore online e pubblica un video su Youtube, chiedendo poi una cospicua somma di denaro. Lo afferma la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, spiegando in sostanza che l’imputato ha condotto la trattativa senza minacciare realmente la compagnia, e quindi senza commettere una vera estorsione. E’ stato lo stesso imputato a “eliminare il video dal web, circostanza questa che, piuttosto che dimostrare” la sua posizione di forza “indica piuttosto come sia stato lo stesso imputato a scegliere, prima di presentare la richiesta della somma di pagamento”, di mettersi sullo stesso piano della compagnia. La vicenda risale a una decina di anni fa, l’imputato scopre una falla nel sistema di gioco di un operatore, e spiega tutto in un video su Youtube, che poi però rimuove spontaneamente; alla compagnia chiede però 2,5 milioni di euro a titolo di consulenza. L’operatore sostiene che comunque la richiesta sia implicitamente minacciosa e denuncia l’uomo, costituendosi poi parte civile nel procedimento. In primo grado l’imputato viene condannato non solo per estorsione, ma anche per diffamazione, visto che il video conteneva delle espressioni colorite. In secondo grado, la Corte d’Appello annulla però la condanna, sostenendo che il fatto non sussiste. La Cassazione adesso conferma la sentenza d’appello, in particolare affermando che per quanto riguarda la presunta diffamazione “la pubblicazione dei video sul web era da ritenersi legittima”. Infatti “era pacifica” la circostanza che “vi era una falla nel sistema che poteva falsare i risultati del gioco”; la notizia, per i giocatori di poker online, “aveva una rilevanza sociale”; “i toni utilizzati ed il tenore dei commenti, seppure caustici, non erano gratuitamente e direttamente diffamatori quanto, piuttosto, avevano scopo divulgativo”. E per la Suprema Corte non esistono nemmeno gli elementi elementi costitutivi del reato di tentata estorsione, visto che “l’imputato non ha creato né aggravato il problema della falla del sistema”; l’uomo “ha comunicato di avere fatto dei video per dimostrare l’esistenza della falla, non ha mai formulato una richiesta di denaro quale corrispettivo per evitare la diffusione degli stessi”; “nessuna richiesta di denaro, in effetti, è stata mai avanzata prima della soluzione del problema ed i video sono stati eliminati non appena la compagnia ha risolto il problema e richiesto all’imputato di procedere in tal senso”; “la richiesta di corrispettivo è successiva alla rimozione dei video ed è stata formulata avviando una vera e propria fase negoziale in un momento in cui nessuna pressione è stata fatta né questa, in effetti, sarebbe stata più possibile”. gr/AGIMEG