La Cassazione “promuove” il distanziometro: “Nessuna distinzione tra apertura di una nuova sala giochi e trasferimento in un altro locale”

Il distanziometro di Venezia supera anche l’esame delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. La vicenda inizia nel 2015, quando una sala da gioco – già autorizzata in precedenza – cerca di trasferirsi in nuovo locale. La domanda di trasferimento viene presentata qualche giorno dopo l’approvazione del Regolamento Edilizio, a quel punto il Comune classifica la sala come una nuova apertura e le intima di cessare le attività, visto che non rispetta le distanze minime da alcuni luoghi sensibili. La vicenda finisce prima di fronte al Tar Veneto, e poi al Consiglio di Stato, entrambi i giudici amministrativi danno ragione al Comune. La sala però si rivolge alla Cassazione, sostenendo che il Consiglio di Stato si sarebbe sostituito al legislatore. In sostanza – secondo la sala – il testo del Regolamento Edilizio non equiparerebbe il trasferimento a una nuova apertura, e il Consiglio di Stato di conseguenza avrebbe applicato il distanziometro a dei casi non contemplati. Nella sentenza infatti – respingendo le tesi della sala – scriveva ““Non può condividersi la distinzione tra apertura di una nuova sala da giochi ed il suo mero trasferimento in altro locale, anche a distanza ridotta: se la distanza dai ‘luoghi sensibili’ costituisce una misura ragionevole ed utile per mettere un freno alla ludopatia, sarebbe del tutto illogico ammettere il superamento delle distanze in caso di trasferimento di una sala da giochi già esistente”. Ora però la Cassazione difende l’operato dei colleghi di Palazzo Spada: “il Consiglio di Stato non ha invero integrato il lamentato sconfinamento dei propri poteri, ma dei medesimi ha fatto necessario esercizio, l’attività d’interpretazione delle norme rientrando nei limiti interni della giurisdizione esercitata”. E ancora, come hanno già chiarito le Sezioni Unite, a eccezione dei casi del “radicale stravolgimento delle norme o dell’applicazione di una norma creata ad hoc dal giudice speciale”, “l’interpretazione della legge o la sua disapplicazione rappresentano invero il proprium della funzione giurisdizionale, e non possono pertanto integrare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte del giudice amministrativo”. rg/AGIMEG