Giochi, Cassazione annulla sentenza Corte Appello Lecce su condanna per reato gioco d’azzardo e riciclaggio: “Nessun riscontro delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia”

La Corte di Cassazione ha annullato la Sentenza della Corte di appello di Lecce che aveva confermato a un imputato la condanna per i reati di cui all’art. 416 bis (associazione di tipo mafioso) e riciclaggio di denaro attraverso il gioco d’azzardo. All’uomo era stato contestato di aver fatto parte del sodalizio criminoso “Sacra Corona Unita” operante nel territorio di Lecce e comuni viciniori (Squinzano, Surbo, Trepuzzi, Campi salentina, etc.), con il ruolo di organizzatore del gioco d’azzardo mediante l’istituzione e la gestione delle case da gioco clandestine e la concessione di “prestiti” ai giocatori in difficoltà; provvedendo — attraverso il gioco di azzardo ed altre operazioni di sostituzione, trasferimento e/o comunque idonee ad ostacolare l’identificazione dell’illecita provenienza del denaro e/o di altri beni- alla “ripulitura” degli ingenti proventi delle attività delittuose svolte dall’associazione. Per la Cassazione “il ricorso è fondato e, di conseguenza, va annullata la sentenza impugnata, con rinvio alla sezione competente in grado di appello per nuovo esame”. Per i supremi giudici, infatti, a carico dell’imputato vi erano solo le dichiarazioni accusatorie rese da un solo collaboratore di giustizia. “Si evince dalla stessa sentenza che tali dichiarazioni non hanno trovato alcun riscontro nelle dichiarazioni rese dagli altri collaboratori di giustizia esaminati nel corso del dibattimento o comunque acquisite agli atti ovvero nelle intercettazioni telefoniche di componenti della organizzazione criminale. D’altronde, non si può sostenere, come finisce per implicitamente fare la Corte territoriale, che le dichiarazioni accusatorie siano assistite da presunzione di credibilità e coerenza; ne consegue che è il giudice di merito a dover procedere ad una rigorosa e penetrante verifica di attendibilità intrinseca ed estrinseca del racconto accusatorio, che deve essere necessariamente confrontato con tutti gli altri elementi processuali, non potendo certo gravare sull’imputato l’onere di provare la falsità della deposizione e le ragioni di tale falsità. La sentenza va quindi annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce, che – nella piena autonomia in ordine alle valutazioni di merito- dovrà provvedere a colmare le lacune motivazionali nel rispetto dei principi di diritto sopra evidenziati”. lp/AGIMEG