Bingo: duro scontro tra MEF e concessionari. La gara potrebbe essere emanata anche in assenza di un regolamento nazionale unico sul gioco

Si preannuncia una stagione di fuoco tra il Tesoro ed i concessionari del Bingo. Secondo fonti del Ministero sentite da Agimeg, al MEF non avrebbero gradito il ricorso, intentato da un concessionario del Bingo, che ha portato il Tar Lazio a rinviare la questione delle somme dovute dagli operatori per la prosecuzione in proroga dell’attività alla Corte Costituzionale. Il MEF starebbe quindi studiando la possibilità di emanare la gara per le nuove concessioni del Bingo anche in assenza di un riordino del settore. Insomma la gara potrebbe vedere la luce anche con distanziometri e limitazione orarie che cambiano tra comune e comune. Un gara che penalizzerebbe quindi gli operatori ma che sarebbe una risposta del MEF alla dura presa di posizione dei concessionari sfociata nel ricorso al Tar. Ricordiamo che il mercato del Bingo ha segnato nel 2017 una raccolta di 1.619 milioni di euro, mentre nel 2018 la raccolta è stata di 1.600 milioni di euro.

Quest’ultimo, ricordiamo, si era pronunciato dichiarando la: “:Violazione degli articoli 3 e 41 della Costituzione e rinvio alla Corte Costituzionale”. Il Tar Lazio (Sezione Seconda) si era pronunciato sul ricorso proposto da un concessionario del Bingo per l’annullamento della circolare con la quale l’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha comunicato che “le somme mensili dovute dai concessionari per la prosecuzione in proroga della gestione delle concessioni sono rideterminate in euro 7.500 ed euro 3.500 rispettivamente per ogni mese o frazione di mese superiore a quindici giorni ovvero per ogni frazione di mese inferiore a quindici giorni”. Nello stesso provvedimento veniva fissata la scadenza – il 30 settembre 2018 – entro cui sarebbe dovuta partire la nuova gara.

Il Collegio condivide in parte i dubbi di legittimità costituzionale prospettati dalla ricorrente e, specificamente, ritiene “rilevanti e non manifestamente infondate le questioni attinenti alla compatibilità con gli articoli 3 e 41 della Costituzione dell’articolo 1, comma 1047, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, che ha modificato l’articolo 1, comma 636, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nella parte in cui il suddetto comma 1047, alla lettera a), dispone che l’Agenzia delle dogane e dei monopoli proceda alla gara per la riattribuzione delle concessioni del gioco del Bingo “entro il 30 settembre 2018” e, al contempo, alla lettera b), eleva a euro 7.500,00 e a euro 3.500,00 gli importi precedentemente fissati in euro 5.000,00 ed euro 2.500,00 dall’articolo 1, comma 636, lett. c), della legge n. 147 del 2013, nel tenore risultante dalle modifiche apportatevi dall’articolo 1, comma 934, della legge 28 dicembre 2015, n. 208”.

Il Collegio ritiene quindi di non potersi esimere dal sottoporre alla Corte Costituzionale le questioni di legittimità costituzionale attinenti al contrasto con gli articoli 3 e 41 della Costituzione, dell’articolo 1, comma 1047, della legge n. 207 del 2015, laddove la suddetta disposizione ha elevato l’importo dovuto mensilmente dagli operatori in regime di proroga tecnica, prolungando, al contempo, la durata di tale regime. Tali questioni risultano infatti rilevanti nel presente giudizio, in quanto da esse dipende la decisione della causa. “Appare violato, anzitutto, l’articolo 3 della Costituzione, in quanto la disposizione in esame costituisce una legge-provvedimento che sembra incidere irragionevolmente su un gruppo di operatori economici precisamente determinato. Da un lato, infatti, la nuova previsione ha incrementato ulteriormente del cinquanta per cento – e quindi in misura niente affatto trascurabile – l’importo dovuto dagli operatori in regime di proroga tecnica che intendano partecipare alla gara per la riattribuzione delle concessioni, senza che risulti essere stata svolta alcuna indagine in ordine all’effettiva sostenibilità di tale onere e senza che l’importo stesso presenti alcuna correlazione con la cifra da porre a base d’asta per le nuove gare (ossia 350.000,00 euro, corrispondenti, in rapporto alla durata novennale prevista per le nuove concessioni, a un onere mensile di euro 3.240,74, e quindi a una somma pari a meno della metà di quella dovuta durante la proroga tecnica). Dall’altro lato, questo aumento si accompagna all’ulteriore protrarsi del regime di proroga tecnica, già in corso dal 2013, di fatto senza una precisa delimitazione temporale”.

Il Collegio ritiene inoltre che gli operatori siano “definitivamente privati della possibilità di svolgere precisi calcoli in ordine alla convenienza economica del regime di proroga tecnica, la cui durata è ormai sostanzialmente indeterminata. Tali soggetti risultano essere stati incisi, perciò, in modo che appare arbitrario e irragionevole da una misura – l’innalzamento immotivato del cinquanta per cento del versamento dovuto mensilmente – senza avere alcuna possibilità né di influire sulla durata del regime di proroga tecnica, né di avere alcuna certezza in ordine alla cessazione di tale regime, reputato dalla ricorrente eccessivamente oneroso in relazione all’attuale situazione di mercato. In questo contesto, gli operatori non sono messi in grado, inoltre, di valutare possibili alternative economiche, poiché la scelta di cessare l’attività li esporrebbe, di fatto, all’espulsione dal mercato a tempo indeterminato, stante l’assenza di certezze in ordine all’avvio della nuova gara. Da ciò i dubbi di irragionevolezza della misura”. Per analoghe ragioni, appare violato anche l’articolo 41 della Costituzione, “atteso che la libertà di iniziativa economica privata è da ritenere compromessa a causa dell’impossibilità per gli operatori di compiere consapevolmente le proprie scelte economiche, rimanendo essi soggetti di fatto a un regime che reputano troppo gravoso, cui tuttavia non possono realmente sottrarsi, non essendo dato stabilire quando potranno eventualmente rientrare nel mercato, a seguito della partecipazione alla nuova gara”.

Per tutte le ragioni esposte, “questo Tribunale ritiene rilevanti e non manifestamente infondate le questioni attinenti alla compatibilità con gli articoli 3 e 41 della Costituzione e conseguentemente, dispone la sospensione del giudizio e la rimessione delle predette questioni alla Corte costituzionale”. lp/AGIMEG