Scommesse, ok della CGE al doppio titolo, ma non si possono vietare in toto le attività transfrontaliere

Caso Biasci, ok della Corte di Giustizia alla norma che prevede il doppio titolo per la raccolta delle scommesse

L’Italia incassa un via libera sulla questione centrale rimessa alla Corte di Giustizia nel caso Biasci sollevato da un CED GoldBet, quella relativa alla duplicazione dei titoli (licenza di Pubblica Sicurezza e concessione dei Monopoli) necessari per raccogliere scommesse in Italia. I giudici comunitari – nella sentenza appena pubblicata – hanno anche approvato la norma che impone agli operatori in possesso di una licenza rilasciata da un Paese UE di richiedere la concessione italiana. La Corte ribadisce invece le critiche già mosse nelle sentenze precedenti (in particolare la Costa Cifone del febbraio 2012) sulle clausole che tutelano gli operatori pre-esistenti, e sulla formulazione delle clausole di decadenza, aggiungendo però delle censure sulle norme che impediscono “di fatto qualsiasi attività transfrontaliera”.

 

Caso Biasci, CGE: legitto chiedere a operatori comunitari di ottenere concessione italiana

 

Legittime – secondo la Corte dei Giustizia Europea – la norme che impongono il possesso di un doppio titolo (la concessione dei Monopoli e l’autorizzazione di Pubblica Sicurezza), e subordinano il rilascio della licenza al possesso della concessione. Le norme del Trattato – scrivono i giudici comunitari – ” non ostano a una normativa nazionale che imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d’azzardo l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività, e che limiti il rilascio di una siffatta autorizzazione segnatamente ai richiedenti che già sono in possesso di una simile concessione”. Legittima la normativa italiana anche nella parte in cui impone anche agli operatori in possesso di una licenza di un paese comunitario di ottenere la concessione italiana.

 

Caso Biasci, CGE, Illegittimo vietare qualunque attività transfrontaliera

Il secondo punto del dispositivo ricalca in parte le censure già contenute nelle precedenti sentenze sul sistema italiano (in particolare la Costa Cifone), ma cassa le norme che impediscono “di fatto qualsiasi attività transfrontaliera”. La prima parte del punto riguarda le norme delle gare (come quella sulle distanze minime) volte a tutelare gli operatori già attivi, e alle clausole della concessione che disciplinavano la decadenza. La Corte di Giustizia ricalca in gran parte i precedenti: le nome del Trattato “ostano a che uno Stato membro che abbia escluso, in violazione del diritto dell’Unione, una categoria di operatori dall’attribuzione di concessioni per l’esercizio di un’attività economica e che cerchi di rimediare a tale violazione mettendo a concorso un numero rilevante di nuove concessioni protegga le posizioni commerciali acquisite dagli operatori esistenti prevedendo, in particolare, determinate distanze minime tra gli esercizi dei nuovi concessionari e quelli di tali operatori esistenti”. E ancora: le norme sulla decadenza “devono essere formulate in modo chiaro, preciso e univoco” rimettendo al giudice nazionale il compito di verificare questo aspetto. Nella seconda parte del punto, la CGE muove però un’ulteriore censura, e afferma che le norme del Trattato “ostano a una normativa nazionale che impedisca di fatto qualsiasi attività transfrontaliera nel settore del gioco indipendentemente dalla forma di svolgimento della suddetta attività e, in particolare, nei casi in cui avviene un contatto diretto fra il consumatore e l’operatore ed è possibile un controllo fisico, per finalità di pubblica sicurezza, degli intermediari dell’impresa presenti sul territorio”. Nella sentenza i giudici spiegano che “le parti del procedimento dinanzi alla Corte sono in disaccordo sul punto se le situazioni di cui trattasi nei procedimenti principali siano o meno paragonabili a quelle all’origine di detta sentenza (la Costa Cifone, NdR) e, in particolare, se la Goldbet e i ricorrenti nei procedimenti principali abbiano subito un pregiudizio dalle disposizioni nazionali di cui la Corte ha dichiarato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione”. La questione ruota intorno alle concessioni che GoldBet si era aggiudicata con il bando Bersani: il giudice nazionale dovrà accertare se la decadenza, sia stata disposta perché la compagnia “ha offerto giochi non autorizzati oppure solamente perché essa esercita attività transfrontaliere”. In quest’ultima ipotesi, sottolineano i giudici comunitari, le norme del Trattato “ostano a una normativa nazionale che impedisca di fatto qualsiasi attività transfrontaliera nel settore del gioco indipendentemente dalla forma di svolgimento della suddetta attività e, in particolare, nei casi in cui avviene un contatto diretto fra il consumatore e l’operatore ed è possibile un controllo fisico, per finalità di pubblica sicurezza, degli intermediari dell’impresa presenti sul territorio”. gr/AGIMEG