Scommesse, l’Italia adotta la diverted profit tax inglese per contrastare i bookmaker paralleli

L’Italia adotta la DPT (diverted profit tax) inglese, ma la applica al solo settore delle scommesse. La Dpt in Gran Bretagna è stata introdotta lo scroso aprile per tassare i profitti sottratti al fisco inglese, colpisce, con un aliquotya del 25% le attività svolte attraverso presunte stabili organizzazioni occulte e i pagamenti intercompany per acquisti di beni e/o servizi da soggetti esteri ritenuti privi di sostanza economica.

In Italia la Dpt è stata introdotta con i commi da 927 a 931 della Stabilità. “In particolare viene prevista una sorta di presunzione circa l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia qualora ricorrano due condizioni”. Da un lato si chiede che “uno o più soggetti residenti, operanti nell’ambito di un’unica rete di vendita, svolgano, per conto di soggetti esteri non residenti o comunque sulla base di contratti di ricevitoria o intermediazione con i soggetti terzi, le attività tipiche del gestore, anche sotto forma di centro trasmissione dati: raccolta scommesse e somme puntate, pagamento dei premi, e mettano a disposizione dei giocatori, presso i locali di cui dispongono, gli strumenti per effettuare la giocata”. Dall’altro che “i flussi finanziari, relativi alle attività, intercorsi tra i gestori e il soggetto non residente, superino, nell’arco di sei mesi i 500mila euro. L’agenzia delle Entrate potrà rilevare i presupposti dalle comunicazioni che saranno obbligati a predisporre gli intermediari finanziari coinvolti nella gestione dei flussi tra i soggetti indicati ed entro 60 giorni dalla medesima informativa convocherà in contraddittorio i gestori e il soggetto estero, i quali potranno fornire prova contraria circa la presenza in Italia di una stabile organizzazione. Qualora venga comunque accertata la sussistenza, l’Agenzia procederà a riliquidare le imposte e ad applicare le sanzioni.

I soggetti, nei confronti dei quali sia stata accertata la stabile organizzazione, a seguito della comunicazione delle Entrate, subiranno da parte degli intermediari finanziari una ritenuta a titolo d’acconto nella misura del 25% sugli importi delle transazioni verso il beneficiario non residente, ai fini della disciplina in materia di antiriciclaggio. Per evitare il prelievo, all’inizio di ogni periodo d’imposta (entro 60 giorni), il soggetto estero può presentare interpello disapplicativo. La disposizione – osserva IlSole24Ore in un articolo pubblicato oggi – rappresenta una vera e propria fuga in avanti dell’Italia rispetto alle discussioni sul tema che da tempo a livello nazionale e internazionale sono state intraprese ad esempio in relazione alle problematiche della digital economy. Visto quanto indicato con la legge di Stabilità per il settore del gioco-scommesse è lecito chiedersi se seguirà a breve un provvedimento simile anche per la digital economy nonostante il fatto che a livello Ocse sia stato sancito il principio che l’economia digitale come ogni altro fenomeno economico non può e non deve essere trattato in modo singolo e peculiare, a macchia di leopardo, da ogni Paese per garantire coerenza ed efficacia al sistema di prevenzione degli abusi e dell’evasione su scala internazionale, limitando al contempo i conflitti. Vale allora la pena ricordare le norme e i principi con i quali la Dpt italiana introdotta con la legge di Stabilità si troverebbe in conflitto, se non addirittura incompatibile. La previsione di una presunta stabile organizzazione, con un prelievo/ ritenuta del 25% sui pagamenti ad un soggetto estero, peraltro espressione di un guadagno lordo, nei confronti di una singola categoria di contribuenti senza alcun chiarimento di come la stessa possa essere recuperata, violerebbe il principio costituzionale di capacità contributiva ex articolo 53. Il provvedimento colpisce soggetti esteri anche residenti in uno Stato Ue; le presunzioni, la prova contraria, i prelievi, l’interpello disapplicativo potrebbero qualificarsi come oneri aggiuntivi e discriminatori rispetto ai bookmaker italiani ovvero ai contribuenti europei nelle medesime condizioni ma appartenenti a settori diversi (la Dpt in Uk infatti si applica a tutti i soggetti senza distinzione di attività) con conseguente violazione delle libertà fondamentali della Ue, in primis quella di stabilimento e di libera prestazione di servizi. La norma aprirebbe, peraltro, un possibile conflitto, già evidenziato anche nei confronti dell’omologa Dpt inglese, con gli articoli 5 e 7 dei Trattati contro la doppia imposizione stipulati dall’Italia sui principi connessi alla definizione di stabile organizzazione e di quale reddito in capo alla stessa possa essere tassato dallo Stato in cui l’attività viene svolta se diverso da quello di residenza”. lp/AGIMEG