Scommesse, Tar Lazio: Improcedibili i ricorsi di Obiettivo 2016 contro Adm e Mef. Discriminazione superata dal Bando Monti

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha dichiarato improcedibili i ricorsi di Obiettivo 2016 contro Adm e il Ministero dell’Economia e delle Finanze che aveva impugnato la “illegittimità del silenzio serbato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli sull’istanza presentata dalla società ricorrente in data 12 giugno 2014, volta ad ottenere il rilascio di un titolo unico per esercitare l’attività di raccolta delle scommesse di abilità nella rete fisica, a mezzo di qualsiasi strumento di accesso per l’utenza e su tutto il territorio dello Stato Italiano, nell’esercizio della libertà di stabilimento garantita dal diritto dell’Unione”. Inoltre si faceva riferimento “al ricorso per motivi aggiunti, dell’illegittimità della nota della Direzione centrale Normativa e Affari Legali dell’Area Monopoli dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ricevuta in data 10 settembre 2014 con la quale è stata respinta la suddetta istanza presentata dalla società ricorrente, con conseguente annullamento di tale nota o, in via subordinata, per la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496, dell’art. 88 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, dell’art. 2, comma 2-ter del decreto legge 25 marzo 2010, n. 40, e dell’art. 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, per contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.
I giudici hanno dichiarato il ricorso “improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse,  perché il diniego opposto dall’Adm con la nota ricevuta dalla ricorrente in data 10 settembre 2014 ha posto fine al silenzio dell’Amministrazione sull’istanza presentata dalla società ricorrente e, quindi, l’interesse di Quest’ultima si è spostato sulla domanda di annullamento della predetta nota, formulata con il ricorso per motivi aggiunti”.
Inoltre “il Collegio ritiene che non vi sia ragione per discostarsi in questa sede dalla consolidata giurisprudenza, anche della Cgue, secondo la quale le restrizioni alle attività dei giochi d’azzardo possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori nonché la prevenzione delle frodi e dell’incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco; le società Stanley e Stanleybet (operanti sul territorio italiano per il tramite dei Ctd) abbiano impugnato il bando della gara Monti perché hanno correttamente inteso gli effetti che tale gara avrebbe prodotto sullo ‘sdoppiamento’ della disciplina del mercato dei giochi, ponendo fine allo ius singulare degli operatori di altri Stati membri ai quali in passato erano state illegittimamente negati i titoli per operare nel mercato italiano; del resto dall’art. 10, comma 9-octies, del decreto legge n. 16/2012 si evince che la gara Monti è stata prevista dal legislatore al dichiarato fine di “rendere la legislazione nazionale pienamente coerente con quella degli altri Paesi che concorrono in ambito europeo alla realizzazione della nuova formula di gioco” e le predette società nel ricorso proposto avverso il relativo bando hanno espressamente dichiarato il proprio interesse ad aggiudicarsi le nuove concessioni, interesse che sarebbe stato, invece, insussistente se l’operatività del sistema dei Ctd in assenza di concessione fosse stata comunque garantita dalla giurisprudenza della Cgue; l’integrale reiezione delle censure dedotte dalle società Stanley e Stanleybet avverso il bando della gara Monti (per effetto della sentenza del Consiglio di Stato n. 4199 del 2013 e della sentenza della Cgue del 22 gennaio 2015) valga a dimostrare che tale gara ha effettivamente sortito l’effetto di porre termine allo ius singulare degli operatori di altri Stati membri, che – come già evidenziato – costituisce il presupposto della reverse discrimination denunciata dalla società ricorrente; D) sia, quindi, oramai venuto meno il presupposto sul quale si fondano la richiesta della società ricorrente di disapplicazione degli articoli 1 e 2 del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496, dell’art. 88 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, dell’art. 2, comma 2-ter del decreto legge 25 marzo 2010, n. 40, e dell’art. 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, nonché l’ulteriore richiesta di rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale di tali disposizioni per contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione. A questo punto resta solo da rilevare che la sopravvenienza della sentenza della C.G.U.E. del 22 gennaio 2015 consente di ritenere definitivamente superato anche l’ulteriore rilievo della ricorrente, secondo la quale l’A.D.M. eserciterebbe i suoi poteri di vigilanza «solo in una direzione, vale a dire nei confronti delle imprese italiane che intendono svolgere attività di raccolta di giochi e scommesse, e non nei confronti degli operatori transfrontalieri». Infatti, venuto meno lo «sdoppiamento» della disciplina del mercato dei giochi, risulta senz’altro condivisibile la tesi sostenuta dalla Difesa erariale nella memoria depositata in data 18 novembre 2014 secondo la quale, allo stato, «lo svolgimento dell’attività mediante il “modello CTD” è anch’esso soggetto all’obbligo della concessione e dell’autorizzazione» e, quindi, l’A.D.M. deve esercitare i suoi poteri di vigilanza nei confronti di tutti i soggetti che esercitino, con qualsiasi modalità, l’attività di raccolta di giochi e scommesse sul territorio dello Stato italiano, ivi compresi i gestori dei CTD. lp/AGIMEG